Domenica 4 settembre 2022  – 23 / c

Nel Vangelo di oggi Gesù, notando che erano numerosi quelli che lo seguivano, si volge indietro e dice loro delle parole che costringono in un certo senso a fermarsi e a riflettere: per essere mio discepolo occorre odiare il padre e la madre e prendere la propria croce. Occorre, si potrebbe dire, fare il contrario di ciò che uno farebbe seguendo il suo istinto naturale. Occorre cioè distaccarsi da ciò che si è naturalmente portati ad amare, come padre e madre, e accogliere, invece, ciò che si è altrettanto naturalmente tentati di non amare, quella croce, cioè, di ogni giorno fatta di circostanze che pesano, limitano, scoraggiano.

Chi parla così evidentemente sa meglio di tutti, come dice il libro della sapienza che l’uomo, da solo non comprende i disegni di Dio. In effetti, nessuno avrebbe potuto conoscere la volontà del Signore se questi non avesse inviato il suo Spirito Santo per raddrizzare i sentieri di chi è sulla terra e di istruire gli uomini per salvare la loro vita. Troppo facilmente ci convinciamo che seguendo il proprio criterio, il proprio piacere, il proprio interesse uno non può sbagliare. Gesù ci insegna il contrario: il criterio secondo cui l’uomo naturale sceglie, preferisce, decide è un sentiero che si perde. Dio invia lo Spirito Santo per raddrizzare i nostri sentieri e seguire Gesù, accogliendolo nella nostra vita non come una guida generica oppure come un altro aiuto accanto a tanti altri, ma come uno che sta prima del padre e della madre e perfino di me stesso, cioè uno che sta alla base di tutto e che c’entra con tutto quello che faccio e che vivo.  Un frate amava ripetere: “Quando metti al primo posto Gesù anche tutto il resto va al suo giusto posto”.  Odiare il padre e la madre, allora, non vuol dire odiare le persone in quanto tali ma sapersi distaccare dall’inadeguatezza di quei rapporti che finché rimangono espressi semplicemente a livello di affettività umana saranno deludenti se non proprio conflittivi. Quando ti accorgi esperienzialmente che la vita espressa dal solo fattore umano – cioè la vita che circola tra te e tuo padre, tra la madre e il figlio, tra fratello e sorella e amici etc – è inadeguata, non soddisfa, non riempie, non dà sicurezza, allora cominci a desiderare intensamente una vita diversa. Come faccio a trovarla questa vita?  Gesù ci risponderebbe con semplicità: quella che tu ora vedi come la tua croce, proprio quella, prendila e seguimi. Paradossalmente, Gesù ci invita a riconoscere proprio in ciò che nella vita quotidiana ci delude, ci contraddice, ci costringe a cambiare rotta, ci umilia e ci fa soffrire, la sua “presenza”, la sua guida invisibile ma forte e sicura. Quindi ci incoraggia a vivere quelle circostanze insieme a Lui come un cammino che, per quanto possa sembrare contraddittorio, secondo i nostri criteri, in realtà a poco a poco raddrizza i nostri sentieri, ci fa comprendere la volontà del Padre e salva la nostra vita.

A questo punto il vangelo ci mette in guardia contro un possibile fraintendimento. Se provi e prendere seriamente Gesù nella vita di ogni giorno e nella croce di ogni giorno avrai la sensazione di affrontare una cosa più grande di te: chi volendo costruire una torre dice Gesù non misurerebbe prima le sue risorse e sapendo di non avere abbastanza non rinuncerebbe per evitare il ridicolo? e chi volendo combattere una battaglia non misurerebbe prima le sue forze e sentendosi inadeguato non verrebbe a compromessi?  Ebbene, continua Gesù, per chi viene dietro a me non si tratta di fare calcoli, previsioni o di contare sulle proprie risorse, ma di vendere tutto, cioè mandare al diavolo ogni nostra preoccupazione e abbandonare tutto, ogni cosa nelle sue mani. Lo esprime bene il salmista quando dice: ogni mattina, signore, riempici con il tuo amore e porta a compimento l’opera delle nostre mani. Ogni mattino o Signora, torna a darci la vita che riempie e l’aiuto di cui abbiamo bisogno anche per il lavoro manuale più umile. In un certo senso si potrebbe dire che nella vita evangelica, colui che vola più in alto, colui che realizza di più è colui che ha il coraggio di dire: mi arrendo. Mi affido ad un altro. Smetto di contare su me stesso e mi abbandono ad una potenza che mi supera e ad una grazia che mi sostiene.

Fa così San Paolo che sta vivendo una situazione umanamente difficile. Descrive sé stesso come “vecchio e prigioniero” e in tal senso potrebbe facilmente sentirsi sopraffatto dalle circostanze negative.  Eppure, essendo pieno dello Spirito Santo, rimane una persona generativa, una persona capace di dare vita e trasmettere vita anche nelle relazioni più difficili come quelle che possono viversi in una prigione. Parla allora di Onesimo, uno schiavo che ha conosciuto in prigione appunto, come di un figlio che ha generato nelle catene. E volendo incoraggiare il suo amico Filemone a perdonare questo schiavo scappato di casa lo invita a riprenderlo non come schiavo ma come fratello in Cristo, come uno che è ormai connesso con la sua vita più ancora che suo padre e sua madre. Questo amore che definisce la relazione tra Paolo, Onesimo e Filemone e’ l’amore dello Spirito Santo ed esso, ancora oggi, vuole liberare da ogni schiavitù e cambiare anche il tessuto sociale. Esso non viene dal padre e dalla madre ma da una presenza risorta che lo rivela a chiunque sceglie di seguirlo nella vita di ogni giorno.