6 luglio 2025 – XIV domenica anno c

Nel Vangelo di oggi Gesù paragona l’umanità ad un campo di grano e il fine della storia al frutto da raccogliere dopo la semina. Questo significa che la storia, sia personale che sociale, in una prospettiva di fede, è una continua e fruttuosa sinergia tra l’azione di Dio e quella degli uomini. In tal senso il salmista invita innanzitutto l’umanità intera a considerare le opere del Signore che egli descrive come meravigliose e terribili al contempo. Dio, continua il salmista, fa passare a piedi i fiumi. Egli aiuta, cioè, a affrontare ostacoli insuperabili e raggiungere mete che superano le sue stesse possibilità. Quindi, lo stesso salmista ricorda che Dio è intervenuto anche nella sua storia personale e prega: venite ascoltate. Voglio narrare ciò che Dio ha fatto per me. Sia benedetto Dio che non ha respinto la mia preghiera e non mi ha negato la sua misericordia. Il profeta Isaia, infine, parlando al popolo in esilio non esita a promettere la consolazione di Dio come quella di una mamma che allatta e accarezza il suo piccolo e conclude dicendo: “la mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi”.

Come mai, dunque, questa sinergia tra Dio e l’uomo non è sempre così evidente nei fatti concreti della vita? Come mai spesso, la storia sembra affidata al caso se non alla malizia del più forte? Gesù nel vangelo menziona vari fattori che motivano questo stato delle cose. Il primo è che rispetto all’abbondanza dei doni che Dio vorrebbe riversare sulle sue creature vi è come una diffusa e cronica indifferenza da parte di quest’ultime. Coloro che vogliono lavorare con Dio – non tanto per lui che non ha bisogno di aiutanti ma insieme a lui perché i frutti della storia siano più abbondanti – sono pochi e quei pochi sono esitanti. Per questo Gesù invita i discepoli a pregare il Padrone della messe affinché “getti” operai nel suo campo, cioè, spinga, quasi costringa qualcuno a farsi suo operaio. Occorre pregare, insomma, non tanto che Dio ci aiuti, ma che qualcuno accetti il suo aiuto e lo trasmetta agli altri.

L’altro fattore che spiega la poca evidenza dell’opera di Dio nel mondo è il fatto che gli uomini tendono continuamente a dubitare della reale efficacia dell’opera di Dio e a preferire la loro opera e la loro iniziativa. Alla luce di tale tentazione Gesù ricorda ai 72 discepoli che essi vanno “davanti” a Lui a preparare la sua venuta e non vanno “al suo posto” per compiere un’opera loro. Per questo essi devono muoversi sulla fiducia e non su sicurezze umane. Dovranno, dunque, stare nel mondo come agnelli in mezzo ai lupi, cioè senza armi e senza difese, rispondendo alla malizia non con altra malizia ma con la semplicità di cuore. Dovranno muoversi senza provviste, senza denaro e senza altri mezzi umani superflui, fiduciosi che quella stessa grazia che ha persuaso i loro cuori esitanti a lavorare con Dio muoverà i cuori di altri ad accogliere i suoi ministri e a sostenerli. I discepoli non dovranno, nemmeno, cercare di procurarsi appoggi o amicizie. Non dovranno salutare nessuno per strada e nemmeno passare di casa in casa poiché Dio sa bene che l’operaio ha diritto al suo cibo.

Eppure, a fronte di tutta questa provvidenza vi è un ultimo fattore che rischia continuamente di vanificare l’opera di Dio a favore degli uomini: il rifiuto dei singoli o di intere città. Per quanto prezioso e indispensabile alla salvezza possa essere il Regno di Dio esso si ferma dinanzi alla libertà degli uomini. La resistenza orgogliosa e stolta dell’uomo, in effetti, può prevalere sulla grazia e ritardare la manifestazione del Regno. I discepoli, dunque, partono sulla parola del maestro e tornano indietro colmi di gioia per i risultati ottenuti, stupiti soprattutto che perfino gli spiriti obbediscono loro. Perché la libertà più grande spesso e volentieri è la libertà da ciò che non si vede -paure, blocchi, ferite interiori, tristezze, situazioni apparentemente irrisolvibili – che dominano dall’interno le persone.

La vittoria sugli spiriti invisibili è il primo segno della presenza del Regno di Dio perché annuncia l’inizio di una libertà più grande, che tocca l’interiorità della persona. San Paolo definisce questa libertà nuova come una nuova creazione. Ecco, dice Gesù, vedo Satana perdere il suo potere e cadere dal cielo come una folgore, mentre a voi è data un’autorità tale che, pur camminando sui serpenti e gli scorpioni niente potrà farvi del male. Ci saranno sempre cose che possono spaventarci e farci soffrire, ma non c’è più nulla che potrà farci del male. Come Paolo possiamo vantarci della Croce di Cristo, del fatto, cioè, che anche la sofferenza e qualsiasi ferita della vita può tornare al nostro bene e alla nostra salvezza e quindi procurarci una gloria che supera ogni nostra attesa. Rallegratevi conclude Gesù del fatto che i vostri nomi sono scritti nel cielo.