22 giugno 2025 – Solennità del corpus domini
Il Vangelo descrive le folle che vengono da Gesù bisognose di guarigione e desiderose di sentir parlare del Regno di Dio. Si tratta di gente che soffre in vari modi e che ha bisogno di una parola che parli al loro cuore di vittoria, di una possibilità di superamento di tutto ciò che limita la nostra libertà e ci fa sentire schiavi, umiliati, deboli. Sentir parlare del Regno di Dio, infatti, significa sentir parlare della promessa fatta da Dio nel Salmo: siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. Significa sentir parlare di una forza che viene dall’alto e che offre una vittoria che sfugge alle sole risorse umane. La folla del Vangelo, allora, che si trova stanca e senza risorse in un luogo deserto, rappresenta bene la condizione di una umanità debole e stanca che non riesce con le sole sue forze a sperimentare la vita nella sua pienezza.
Non a caso, quando i discepoli suggeriranno a Gesù di rinviare la folla perché ciascuno trovi ciò che gli serve per il riposo e per il nutrimento, Gesù resiste alla loro proposta. Egli sa che ciò di cui questa gente ed ogni uomo ha bisogno non è ciò che ciascuno può comprare da qualche parte in questo mondo. Gesù non disprezza il poco pane e pesce che trova a portata di mano ma li benedice guardando il cielo, chiedendo cioè al Padre di riempire le povere cose della terra con una vita che possa bastare per sempre e per tutti.
Il dono di questa vita che ha la sua origine nel cielo, tuttavia, non dipende da un qualche fattore particolare che si aggiunge alle cose che ci aiutano a sopravvivere giorno per giorno, ma piuttosto da una conversione profonda del cuore che prelude ad un modo nuovo di usare delle cose della terra e quindi ad un modo nuovo di vivere la relazione con Dio e tra di noi. L’eucaristia è il sacramento di questa chiamata a conversione che lo Spirito Santo ogni giorno rivolge al nostro cuore. Gesù chiama questo modo nuovo di relazionarsi con il Padre “nuova alleanza” e il salmista la descrive come un sacerdozio nuovo al modo di Melchidesech. Un sacerdozio, cioè non cultuale ma piuttosto esistenziale. Un sacerdozio che, offrendo pane e vino come segni della vita, prelude al sacerdozio di Cristo che appunto nel pane e nel vino non offre delle cose ma offre al Padre ed al mondo sé stesso.
Il fatto che Gesù inviti i discepoli a far reclinare le folle segnala il fatto che non si tratta di cambiare panettiere ma di cambiare modo di vivere. Si tratta di assumere un atteggiamento di libertà verso le cose e di convivialità nei confronti degli altri. Si tratta di assumere un modo di vivere che non e’ più solo terreno, psicologico, naturale ma propriamente spirituale, dominato dall’amore dello Spirito santo e sempre più assimilato alla vita di Cristo. Non a caso Gesù nel Vangelo ordina di raccogliere gli avanzi del pane e dei pesci. In questo modo egli vuole significare che quello che è stato donato non era una vita che perisce o qualcosa solo per la circostanza presente ma una vita da trasmettere nel tempo.
È in tal senso che Paolo può dire: vi trasmetto quello che anche io ho ricevuto. Vi trasmetto il sacramento della memoria di Cristo. Non semplicemente la memoria di ciò che egli ha fatto una volta, ma propriamente la memoria di ciò che egli fa finché egli venga. La memoria di una presenza efficace che continua a guarire e a parlare del Regno di Dio, finché non avrà messo sotto i suoi piedi tutti i suoi nemici, inclusa la morte. L’eucarestia diventa allora il segno di una presenza che accoglie le folle nel Vangelo e che non le lascia andare senza un cibo che guarisce e che unisce. È un cibo che guarisce da tante cose e in particolare dalla stanchezza che deriva dalla debolezza della volontà. Ci arrendiamo, ci fermiamo, ci scoraggiamo, ci rattristiamo, ci lasciamo sopraffare dal senso di vuoto, di accidia, di pigrizia e non combattiamo fino in fondo l’unica cosa che veramente diminuisce la vita e che è il male ed il peccato.
È un cibo che unisce perché la resa definitiva al male alla fine è sempre la sconfitta definitiva della comunione. Gesù non offre il suo cibo ad una folla anonima e confusa ma a gruppi di cinquanta che possano fare comunità, che possano conoscersi, parlarsi, aiutarsi, ed anche perdonarsi.
Con la sua morte e la sua resurrezione Gesù ci ha lasciato il memoriale della sua presenza risorta in mezzo a noi, la possibilità di vivere nell’azione di grazia per la vita del cielo e il pegno della comunione con Dio e tra di noi.