23 novembre 2025 – Solennità di Cristo re / c
Nel libro di Samuele si racconta dell’incoronazione di Davide. Nell’occasione, tuttavia, gli israeliti riconoscono che Davide, ancor prima che venisse riconosciuto re dagli uomini, già esercitava un’autorità su Israele. Egli, infatti, era capace di far uscire e di far rientrare Israele, cioè di guidarlo al pascolo come un gregge, di esercitare insomma un’autorità su di esso, non per dominare ma per custodire la sua libertà dai pericoli esterni. Non solo. Il popolo riconosce a Davide il fatto di averli in un certo senso generati come popolo e quindi possono dirgli: noi siamo tue ossa e tuo carme, piuttosto che il contrario: tu sei nostra carne. In tal senso Davide è figura di Cristo che, pur non possedendo un regno ed una corona data dagli uomini, viene posto a capo della creazione e della chiesa e quindi al disopra di troni, dominazioni e principati e viene descritto come primogenito del creato e dei risorti dai morti, cioè colui che dà origine ad un popolo nuovo e ad una nuova natura.
Ma perché anche noi avremmo bisogno di un re capace di farci “uscire ed entrare” ad immagine del re Davide? Perché noi non possediamo la nostra libertà. Cominciamo a desiderare un re quando ci accorgiamo che questa libertà è importante e che non la possediamo perché non siamo liberi dal peccato, dall’egoismo che ci trattiene, dalle paure o diffidenza che ci impediscono di amare. L’unica vera libertà è la libertà dal male e per ottenerla abbiamo bisogno di uno più forte di noi, capace di strapparci dal dominio delle tenebre per stabilirci nel regno della luce. Affinché si realizzasse questo passaggio, ricorda San Paolo, avevamo bisogno di un riscatto e di un perdono. Avevamo insomma bisogno di uno che comprasse il nostro debito con la sua innocenza e che ci riconciliasse con il Padre con la sua misericordia.
Gesù, insomma, ci fa uscire dalla nostra prigione e dal nostro sepolcro e ci fa entrare nella casa del Padre. Egli ci riconnette con la vita del cielo e ci fa capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce, di ricevere fin da ora quello Spirito Santo che ci fa ossa delle sue ossa e carne della sua carne risuscitata. Come è possibile? Per la fede. Eppure, affidarsi a lui non è un fatto scontato. Come noi spesso non “vediamo” l’amore di Dio nella nostra storia così tutti quelli che erano vicini a Gesù sulla croce non vedevano nessun amore in quella situazione e sollevano l’identica obiezione: salva te stesso. Essi giudicano la realtà, la storia, quello che sta accadendo, si aspettano una salvezza a loro misura, diversa dalla croce, e non si rendono conto che proprio questa è la radice del peccato: voler conoscere il bene e il male, innalzarsi a giudici della volontà di Dio.
Solo il ladrone pentito si rende conto che tutti siamo sotto lo stesso giudizio di Dio e che Gesù è l’unico che sta sotto quel giudizio da figlio e non da giudice. Gesù, da figlio non recrimina e non accusa. Rimane nella sua storia perfettamente abbandonato alla volontà del Padre e perfettamente capace di trasmettere agli altri l’amore del Padre pregando e intercedendo per loro. Non c’era un altro modo di liberare l’uomo dalla prigione del suo male e della morte. Perché l’uomo non è stato sottomesso al peccato e alla morte con la forza ma con l’inganno. La sua liberazione allora non poteva dipendere da un atto di forza contro il demonio nostro nemico ma solo da un libero consenso alla verità dell’amore di Dio basato sulla fiducia: Signore ricordati di me quando sarai nel tuo Regno. Gesù sulla croce è massimamente immagine del Dio invisibile. Su quella croce vediamo un amore di cui fidarsi e attraverso questa fiducia vinciamo l’inganno del demonio e ritroviamo la nostra libertà di figli. Diventiamo ossa delle sue ossa, carne della sua carne.