2 novembre 2025 – Ricordo di tutti i fedeli defunti 2025
Giobbe 19; Lettera ai romani 5, 5-11; Vangelo di Giovanni 6:37-40
La preghiera di Giobbe nella sua miseria e sofferenza riassume tutte le speranze dell’uomo. Anche Giobbe sperava di guarire, di ottenere giustizia, di vivere in pace. Quando tutte queste speranze sembrano perdute invece di abbattersi si aggrappa all’ultima fondamentale speranza: anche se la mia pelle verrà distrutta e il mio corpo si dissolverà io so che alla fine vedrò il mio Redentore con la mia carne, con i miei occhi. La mia persona tutta intera e non un’altra incontrerà il Redentore. Non è solo la speranza di una vita futura ma di una redenzione, cioè di un riscatto di tutte le altre speranze altrimenti perdute.
La stessa fondamentale speranza che resiste quando ogni altra speranza umana viene meno riecheggia nella preghiera del salmista: una cosa sola ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita. Poiché siamo tutti influenzati da una mentalità che dà priorità alle cose che possono essere possedute e sfruttate nell’immediato, potremmo essere tentati di considerare ridicola o illusoria la speranza della vita eterna. Per questo San Paolo insiste: essa non delude, non ti lascia nella vergogna di aver creduto invano. Essa non delude non solo perché è sicura ma anche perché è attiva, efficace, operativa fin da subito. Non è un’idea da credere o una realtà futura da attendere. La vita eterna coincide con l’energia vitale dello Spirito Santo che Gesù ha voluto comunicare alla nostra umanità, a partire proprio da quel punto in cui ogni vitalità umana e quindi ogni speranza umana si esaurisce, cioè a partire dalla nostra morte.
Questo è l’accadimento fondamentale che giustifica la speranza di partecipare alla vita eterna e alla resurrezione: il fatto che è il figlio di Dio, morendo come noi e risorgendo da morte, abbia spostato il compimento del nostro destino al di là della morte. Per tutti. Non solo per il giusto oppure per una persona buona, continua San Paolo, ma per noi che eravamo deboli, empi, peccatori e ostili a Dio. Deboli perché predisposti a cadere, empi, perché senza quell’amore filiale per Dio che chiamiamo pietà. Eravamo peccatori, perché incapaci di amare divinamente, nello Spirito Santo, così come eravamo stati creati fin dall’inizio, e finalmente ostili rispetto a Dio, in quanto alienati da lui, paurosi, schiavi del senso di colpa.
Ebbene, il figlio di Dio, conclude San Paolo, morendo per noi, ha stabilito un contatto tra la sua vita eterna e la nostra vita mortale, a partire proprio dal punto in cui essa si spegne, in maniera tale che, proprio a partire da quel punto, gradualmente essa fosse trasfusa nei nostri cuori per l’azione dello Spirito Santo, alla sola condizione di credere in Gesù e affidarci a lui nell’obbedienza alla sua Parola. Gesù riprende questa bella notizia nel Vangelo quando dice che egli è venuto tra noi non per fare la propria volontà ma quella del Padre. Gesù cioè esercita la sua autorità nei nostri confronti non in termini di dominio ma di servizio.
Questa disponibilità umile di Cristo nei confronti dell’umanità stabilisce un’attrattiva tra lui e il più perduto tra gli uomini. Chi asseconda questa attrattiva, cioè chi si avvicina a Lui, continua Gesù, non viene buttato fuori, non viene escluso, non viene rifiutato. Gesù avendo preso persino la nostra morte tra le sue mani, non scarta più nulla della nostra vita, non disprezza alcuna debolezza, alcun fallimento, alcuna limitazione. Egli viene per fare la volontà del Padre che è quella che nulla vada perduto. Sia che moriamo, sia che viviamo partecipiamo alla vita eterna di Cristo risorto, che, ricorda Paolo, è lo Spirito Santo versato nei nostri cuori. Tutto ciò che della nostra vita terrena si lascia impregnare da questo amore non si perde più e nell’ultimo giorno, secondo la promessa di Gesù, verrà risuscitato. Per chi crede alla fine della vita non ci sono solo i ricordi ma lo stupore di una promessa che finalmente si compie.