Domenica 9 novembre 2025 – Dedicazione della basilica lateranense

La dedicazione della basilica lateranense celebra la natura profonda della chiesa che è una, santa, cattolica ed apostolica. La chiesa di Roma è garanzia di unità e di universalità in quanto raccoglie in un unico gregge tutte le genti ed esiste a beneficio di tutta l’umanità, anche quella parte che ancora non conosce Cristo. Essa è garanzia di apostolicità, cioè di continuità nel tempo senza pericolo di deviazioni dal vangelo originario, e infine di santità. Questo è forse l’elemento più problematico da accogliere in quanto la chiesa esiste in un mondo di peccato ed è composta da uomini peccatori. La Parola di Dio di questa domenica vorrebbe illuminarci proprio su questo punto.

Nel Vangelo di Giovanni Gesù sale al tempio per annunciare la fine di un modo inadeguato di relazionarsi con Dio e l’inizio di una nuova alleanza tra Dio e gli uomini. Egli scaccia con forza, dunque, venditori e cambiavalute. Probabilmente questi ultimi non stavano facendo nulla di irregolare in quanto si trovavano comunque nel recinto esterno del tempio. Ciò che Gesù voleva realizzare lo capirono al momento solo i discepoli che erano mossi da fede. Essi, infatti, si ricordano delle parole della scrittura che parlano di uno zelo per la casa di Dio che divora il cuore del credente.

Essi, insomma compresero che quella santità fino ad allora espressa dello sforzo umano di corrispondere alla volontà di Dio con l’abbondanza di sacrifici e con la maestosità di un tempio costruito in 46 anni, veniva ora sostituita da quello zelo nascosto nel cuore di Gesù che esprime il fuoco dello spirito santo che egli è venuto a portare sulla terra. Questo fuoco si estenderà al mondo per mezzo del mistero Pasquale che da compimento alla profezia di Gesù: sciogliete pure questo tempio – riferendosi al suo corpo – ed io lo farò risorgere.

Gesù insomma predice che la nuova sorgente di ogni santità sarà non la nostra offerta che sale a Dio, ma il dono di Dio che scende a noi per l’offerta che Gesù fa di sé stesso al Padre. Questa santità è diversa da quella del tempio antico perché non “separa” dal mondo e non si eleva ad altezza spirituali irraggiungibili ma viene ad abitare in noi per mezzo dello Spirito Santo versato nei nostri cuori. Proprio come l’acqua che, nella profezia di Ezechiele, discende verso la valle e poi ancora fino al mare ed è così potente da vivificare tutto ciò che incontra. Essa fa crescere alberi che donano cibo tutto l’anno e produce foglie che guariscono ogni malattia. Essa preannuncia, insomma, la grazia del battesimo che dona la remissione dei peccati e la grazia dell’eucaristia che ci nutre con un cibo di vita eterna. Gesù prepara inoltre i suoi discepoli ad accettare il fatto che chiunque accoglie questo dono in sincerità di cuore si lascia “consumare” dallo stesso zelo che consumava il suo cuore.

Con l’aiuto dello Spirito Santo cioè, il credente impara a morire a sé stesso, ad agire contro l’interesse proprio, l’amor proprio e il piacere proprio per lasciare emergere la nuova natura che Gesù ci ha   donato con la sua resurrezione. Per questo il primo segno di una vera conversione all’amore dello spirito santo è l’accettazione delle “correzioni”, di tutto ciò che contraddicendoci, umiliandoci, ferendoci “ci purifica” dall’orgoglio e dalla presunzione e ci dispone ad appoggiarci con fede solo a Gesù. Ed un secondo segno è che al giudizio umano, carnale che siamo tentati di dare alle situazioni ed alla storia lo Spirito Santo sostituisce la fede che vede l’opera di Dio nella storia laddove gli uomini vedono solo le apparenze esteriori.

Ma la fede non è di tutti, ricorda San Paolo. Senza di essa, ammonisce Paolo, gli uomini rimangono estranei a Dio e cattivi, anche se formalmente dovessero osservare la legge. Al contrario coloro che accolgono con sincerità il dono della fede diventano capaci di opere buone e di parole buone, di un amore cioè che procedendo da un cuore purificato, santifica tutta la realtà esterna, proprio come l’acqua che usciva del tempo di Ezechiele.