30 novembre 2025 – 1 domenica di avvento A
All’inizio dell’avvento la lettera di San Paolo ai romani richiama il fatto che, benché ancora in cammino verso il compimento della nostra salvezza, noi viviamo già da salvati, da persone che partecipano alla novità di vita che la resurrezione di Gesù ha introdotto nella storia e nel mondo. È vero, infatti, che la notte avanza e che l’oscurità sembra prolungarsi, continua Paolo, ma proprio questo prolungamento della notte implica che si sta avvicinando il giorno. È vero che siamo sempre portati a perpetuare le opere delle tenebre – le passioni, i piaceri, i litigi – ma è anche vero che sta a noi la decisione di deporle e rivestire le armi della luce, cioè di cominciare a combattere quello di cui prima ci compiacevamo.
Anche il profeta Isaia, in un periodo buio della storia di Israele, incoraggia a credere nella forza che viene dalla grazia dicendo che dal Monte del Signore uscirà sia legge che la Parola di Dio, cioè sia un insegnamento scritto che corregge il peccato, sia una parola viva, un insegnamento che parla a ciascuno e che è capace di cambiare i cuori. Egli inoltre fa notare come la conversione di uno è contagiosa per un intero popolo perché ognuno può dire agli altri: venite, camminiamo nella luce e ognuno può essere generatore di una cultura di pace che trasforma le armi in falci.
Come mai, dunque, questa promessa sembra tardare a realizzarsi? perché il cuore dell’uomo stenta a credere che c’è una salvezza a disposizione e resiste alla conversione. Le parole di Gesù nel vangelo ci mettono in guardia rispetto a questo rischio. Gesù, infatti, ricorda ai suoi discepoli che alla fine dei tempi sarà come ai tempi di Noè. Questo significa che, per quanto straordinario possa essere lo sviluppo dell’umanità, per quanto rapido possa essere il cambiamento di vita introdotto dall’intelligenza artificiale, tutto ciò non garantisce anche un cambio del cuore dell’uomo. Il progredire del tempo e lo sviluppo del mondo non corrispondono necessariamente al progredire e al risvegliarsi del mondo interiore delle persone. Come ai tempi di Noè, anche alla fine dei tempi molti saranno colti nella condizione di persone impreparate, persone dal cuore addormentato o anestetizzato. Persone non necessariamente cattive o immorali, ma fondamentalmente persone che vivono distratte.
Si mangia, dice Gesù nel Vangelo, si beve, si costruisce, ci si sposa ma non ci si accorge che nella realtà di ogni giorno c’è di più dell’opera nostra; c’è l’opera di Dio che la scrittura chiama salvezza. Il vangelo allora è una chiamata continua a conversione. E la conversione è forse innanzitutto il risvegliarsi dalla distrazione. È aprire gli occhi del cuore sul fatto che il fine della vita non è semplicemente mangiare e sposarsi, godere finché possibile della vita e perpetuare la specie. Il fine della vita è l’incontro col figlio dell’uomo che possiede la vita in abbondanza e la dona in abbondanza. Allora la sua venuta, se siamo ben disposti all’incontro, non ci deruba della nostra vita, come un furto ci deruberebbe della nostra proprietà, ma ci fa partecipi della sua vita come della nostra vera proprietà, perché per esser una proprietà, cioè nostra per sempre, la vita deve essere eterna. Questo vale per l’umanità nel suo insieme ma anche per ogni individuo.
Anche senza attendere un cataclisma finale dove tutti muoiono ognuno deve considerare ad ogni istante la possibilità della propria fine individuale. Due saranno a lavorare nei campi o alla macina ed ecco uno sarà preso… e l’altro lasciato. Non si tratta di cercare ragioni del perché uno è preso e l’altro lasciato. La morte, a qualsiasi momento arrivi, non è una conclusione ma sempre un’interruzione. Si tratta di domandarsi se, nell’uno o nell’altro caso, il cuore si trovi in una situazione di consapevolezza e disponibilità all’incontro con il Signore che viene, sia nel morire che nel vivere. Siate vigilanti insiste Gesù nel Vangelo. Siate persone che vivono responsabilmente l’attimo presente, cercando e attendendo qualcosa di più della soddisfazione della vita naturale o la tranquillità di una vita comoda. Siate persone che vivono da svegli, perché sanno che sia che operino di giorno sia che dormano di notte, non appartengono a sé stessi ma a Colui che è risorto e che dunque non dorme mai perché non muore mai. Colui che era, che è e che viene.