Domenica 17 luglio 2022 XVI /c

Nella seconda lettura di questa domenica Paolo parla di un grande mistero che ora si rende manifesto grazie all’annuncio del Vangelo: Cristo in voi speranza della gloria. Occorre rimuginare questo annuncio per rendersi conto della sua eccezionalità. Non vi è più distanza tra la nostra vita e la vita risorta di Cristo. Egli è in noi. Non vi è più distanza tra materiale e spirituale. La vita di Dio che è in Cristo non esiste fuori di me ma in me, e si identifica così radicalmente con la mia carne, la mia debolezza, la mia storia concreta da potersi esprimere anche nella mia sofferenza: ecco – dice Paolo – anche nella mia sofferenza io sono lieto. Questa mia sofferenza non è mai da buttare se viene affidata a Cristo che in me realizza la sua gloria. E se nella mia vita non butto via nemmeno la sofferenza, allora non butto via niente. Tutto può servire a realizzare una gloria che non è mia ma di Cristo ma che misteriosamente coincide proprio con la mia stessa gloria, cioè con la piena realizzazione della mia personalità profonda, della mia santità, della mia felicita più vera: io esorto tutti – conclude San Paolo – per rendere ciascuno “perfetto” in Cristo, compiuto, contento, soddisfatto, realizzato.

In sostanza l’accoglienza di questo Vangelo – Cristo in voi speranza della gloria – è il segreto di una vita riuscita, di una storia al termine della quale uno possa dire: la mia sorte è caduta sulla “parte migliore” e non può essermi tolta perché questa parte migliore che si è realizzata in me è senza confronti e senza competizione con gli altri.

Ma come posso affidarmi a questa gloria di Cristo che vive in me? Come posso rendermi disponibile all’agire di questo mistero che si realizza nella realtà più concreta della mia carne, del mio corpo, della mia vita storica? Come faccio a riconoscere e scegliere “la parte migliore” nelle diverse circostanze della vita? La risposta è semplice e impegnativa allo stesso tempo. Si tratta di coltivare l’amore stupito ed umile al reale. Per quella fede che mi porta a riconoscere dietro la banalità delle circostanze, la presenza del “mistero”, accolgo la realtà di ogni giorno come qualcosa attraverso cui Dio stesso si fa presente nella mia vita per darle un compimento. In tal senso l’atteggiamento di Abramo nella genesi è esemplare. Abramo si lascia interrompere e disturbare nell’ora più calda del giorno da viandanti sconosciuti. Il suo amore al reale lo porta a trattare questi sconosciuti come angeli di Dio. Egli, cioè, accoglie la realtà come essa viene e solo più tardi scopre che in essa vi è il “mistero”, vi è la promessa di un di più che realizza i suoi desideri più intimi e in un certo senso glorifica la sua personalità. Abramo accoglie la realtà, anche quella imprevista o disturbante, perché in essa crede che vi sia di più di ciò che è ovvio: forse- e gli dice- è proprio per questo che voi dovevate passare di qui. Cioè, quello che sembra accidentale, occasionale, non pianificato, se accolto con amore, risulta “provvidenziale”. Ma nell’accogliere il mistero che viene a noi nella realtà occorre conservare un atteggiamento di massima gratuita. Abramo non fa nulla per trattenere i suoi ospiti che dopo aver mangiato lascerà partire per la loro strada. Quello che spesso accade a noi, invece, è che, anche se ci sforziamo di credere che Dio si fa presente nella nostra realtà di ogni giorno, di fatto cerchiamo di adattare questa realtà alle nostre aspettative e ai nostri piani piuttosto che dar fiducia al piano di Dio ed alla sua promessa che supera ogni nostro desiderio. È questo che mette in luce il comportamento di Marta. Anche lei sembra accogliere la realtà lasciandosi attivare dalla visita probabilmente imprevista di Gesù. Ma alla fine, come tutte le persone che si entusiasmano quando le cose sembrano realizzarsi secondo le proprie aspettative e poi si arrabbiano o si rattristano quando invece esse sembrano prendere una piega inattesa, così Marta passa dall’attivismo alla delusione, perché in fondo in fondo guardava alla realtà come un compito da realizzare secondo le sue forze e non come qualcosa in cui Dio si fa presente per arricchirmi.  La sua protesta nei confronti di Gesù: signore non ti importa che mia sorella mi lasci sola?  esprime un disappunto che emerge abbastanza frequentemente nel cuore di ciascuno di noi: signore perché le cose non vanno come dico io? signore perché questa persona non è come vorrei io? Quando nella realtà smettiamo di cercare noi stessi, i nostri attaccamenti o le nostre pianificazioni, e cominciamo seriamente a cercare Dio che in essa si fa presente allora incominciamo ad amare questa realtà, tutta la realtà, gradita o sgradita, prevista o imprevista, perché ritroviamo in essa e in ogni suo dettaglio sempre più chiaramente quella che per noi è “la parte migliore”.