Lc. 4, 21-30: Gesù rifiutato  IV Dom. Anno C
Siamo ancora nella Sinagoga di Nazareth, villaggio dove Gesù era cresciuto. Vi entrò di sabato e lesse il passo del profeta Isaia, dove si parla dell’investitura del Messia. Poi commenta la lettura dicendo: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc. 4,21). Ma si era dimenticato di leggere un versetto della profezia di Isaia, quello che la gente voleva sentire dopo la proclamazione “dell’anno di grazia del Signore”, cioè “e la vendetta del nostro Dio”. Infatti da oltre sessant’anni Israele era sottomesso alla dominazione romana e attendeva un liberatore per liberarsene dei pagani.
Inoltre Israele (qui rappresentato dai Nazareni) credeva di essere il popolo privilegiato e scelto da Dio, la cui salvezza, che il Messia avrebbe portato, sarebbe stata esclusiva per loro. Invece Gesù, omettendo quel versetto riguardo la vendetta, proclama un amore universale del Padre rivolto a tutti, perché non c’è nessuna persona al mondo che possa sentirsi esclusa dall’amore di Dio.
La sua predicazione stupisce, ma quella sua “dimenticanza”, scandalizza e suscita una reazione da parte dei Nazareni: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”.
Sono tutti nella sinagoga, come ogni sabato, ad ascoltare le antiche profezie e le promesse di Dio, a osservare i precetti e le tradizioni religiose, a pregare, sperano e sognano che il Signore intervenga presto, ma nell’ora che interviene, rimangono freddi, chiusi. Sono molto devoti ma poco credenti. Dio si è fatto presente con suo Figlio, ma vorrebbero che non fosse così concreto, così vicino e soprattutto non adesso, perché significherebbe cambiare vita adesso, mettersi in discussione. L’oggi offerto da Dio non viene accolto, ma contestato.
I Nazareni fanno fatica a capire come il Messia atteso sia uno di loro, cresciuto in mezzo a loro. La familiarità con Gesù diventa un inciampo, perché agisce in modo diverso dalle loro categorie e speranze. Essendo Gesù un loro compaesano, credono di avere dei “diritti” o dei “privilegi” nei suoi confronti, di poter avanzare delle pretese come compiere gli stessi miracoli fatti altrove.
Così Gesù viene rifiutato: inizia così il suo cammino verso il Calvario. L’evangelista Luca ci presenta, nei primi capitoli del suo vangelo, il dramma di Gesù che annuncia “l’oggi di Dio” e offre la sua liberazione ai poveri e ai peccatori, mentre Israele non accoglie questo suo modo di agire.
Ai Nazareni sembra strano che “oggi”, nella loro sinagoga, sia giunta la salvezza e che le parole del profeta Isaia, lette da Gesù, si riferiscano proprio a loro. Vorrebbe dire che i poveri, i prigionieri, gli oppressi non solo altrove, ma lì dentro, nella loro comunità, in quel momento.
Quante volte anche noi cristiani, ascoltando la Parola, pensiamo “già l’ho sentita” oppure “non mi riguarda, è per gli altri”. È una atteggiamento di rifiuto per non metterci in discussione, in crisi.
È difficile accorgerci dell’oggi di Dio quando si hanno gli occhi chiusi dal pregiudizio.
Anziché tentare di placare gli animi, di spiegarsi meglio, Gesù rincara la dose. Oltre a citare un proverbio conosciuto e ricordare ciò che fece a Cafarnao (in Luca, finora Gesù non ha compiuto nulla in questa città), aggiunge: “In verità io vi dico: nessun profeta è ben accetto nella sua patria”. Così è stato e sarà lungo la storia dell’umanità. Il profeta non è colui che ripete dottrine conosciute, ma, per la sua esperienza personale di Dio, crea formule, nuovo atteggiamenti, nuovi modi di rapportarsi con Dio. E questo viene sempre rifiutato.
Poi, mettendo il dito nella piaga di Israele, ricorda due episodi dell’A.T., che i Nazareni preferivano dimenticare: due episodi, dove Dio, mediante i profeti Elia ed Eliseo, è intervenuto in situazioni di grave emergenza, a favore dei pagani anziché degli ebrei.
Dio si è rivolto a una vedova a Sarepta di Sidone, durante un periodo di grande carestia e al lebbroso Naaman, il Siro, dell’esercito nemico. Entrambi pagani. Per Dio non ci sono popoli eletti o prediletti: il suo amore si rivolge a tutti, specialmente dove ce n’è bisogno. Dio è libero di offrire i suoi doni, la sua grazia, la sua salvezza a chi vuole. Nessuno ha diritti e privilegi per essere salvato.
Quando i Nazareni hanno capito questo, hanno avuto una reazione violenta verso Gesù: tentano di ucciderlo perché non aveva la loro stessa mentalità religiosa.
Essi rappresentano quelle persone che pensano che la religione sia solo “miracolismo”, pratiche religiose popolari da compiere e non capiscono che si tratta di un cambio interiore, un incontro con Dio e i fratelli/sorelle. Credono in un dio che debba obbedire alle suppliche delle persone, che si adatti alla loro mentalità e tradizioni. Questi rischi sono anche i nostri, specialmente per coloro che si sentono vicino alla Chiesa da tempo e fanno fatica a essere disponibili a un Dio che si manifesti al di fuori dei propri schemi e riti.
Si alzarono e lo cacciarono fuori della città, il luogo delle esecuzioni dei delinquenti, e lo condussero sul ciglio del monte, per gettarlo giù. La storia dei profeti si ripete. Allora Gesù, “passando in mezzo a loro, si mise in cammino”. Luca sta anticipando quello che accadrà a Gerusalemme, dove sul monte Golgota, crocifiggeranno Gesù, ma la sua vita sarà più forte della morte. Nemmeno la violenza, la paura e il tradizionalismo religioso dei Nazareni possono fermare il cammino di Gesù e del suo messaggio.
Senza fuggire, Gesù lascia definitivamente Nazareth e con lui si allontana anche la salvezza per i suoi concittadini. Vive lo stesso dramma di Geremia, che dovette sopportare un popolo accecato dai suoi pregiudizi, dalla sua rigidità e chiusure. Predicò (622-586 a.C.) in uno dei periodi più tragici e difficile della storia dell’A.T., quando il piccolo regno di Giuda si trovò coinvolto nel gioco delle grandi potenze del tempo: Egitto, Assiria, Babilonia.
Dovendo annunciare solo sventure, la reazione contro di lui non si fece aspettare: incompreso, rifiutato, perseguitato, carcerato, percosso e odiato da tutti. Gli abitanti di Ananot, villaggio dove è nato, hanno tentato perfino di eliminarlo (11,21). Geremia era consapevole che era stato scelto da Dio per questa missione, alla quale non rinunciò mai sebbene non sperimentasse nessun esito, nessuna ricompensa.
Dopo la caduta di Gerusalemme (586), dando inizio all’esilio babilonese, Geremia rimane in Giuda fino a quando non sarà deportato in Egitto, dove sei anni dopo sarà lapidato dai suoi stessi compatrioti (34,5-7).
Questa vicenda di rifiuto che Gesù sperimentò nel suo villaggio di Nazareth, dove trascorse la sua infanzia, ci fa pensare alla sua famiglia, specialmente a Giuseppe e Maria. Cosa avranno pensato e provato, quando hanno visto la reazione assassina della gente verso il loro figlio? Che tipo di reazione dovettero sopportare da parte della gente, quando il loro figlio si allontanò da Nazareth definitivamente?