Lc. 1,1-4.4,14-21    III Dom. anno C
Iniziamo oggi la lettura del vangelo di Luca, che ci accompagnerà per tutto l’anno fino al prossimo Avvento. La liturgia ci presenta due brani distinti del vangelo di Luca: il primo è il “prologo” e il secondo l’inizio della predicazione di Gesù nella sinagoga di Nazareth.
Luca non ha mai visto personalmente Gesù. È stato mediante san Paolo, durante il suo secondo viaggio missionario, che si è avvicinato al Vangelo e si fece cristiano. Appartiene alla seconda generazione dei cristiani. Intorno agli anni 60, quando ormai i pochi Apostoli rimasti stavano subendo il martirio nei luoghi della loro predicazione, Luca sente la necessità di raccogliere la loro testimonianza prima che andasse perduta. Quindi per scrivere la sua opera (vangelo e Atti degli Apostoli) si è documentato, ha ascoltato testimoni oculari, è andato alla ricerca delle fonti che già circolavano al suo tempo.
E tutto questo lavoro l’ha fatto perché Teofilo (= “amico di Dio”) potesse verificare la solidità della fede in cui credeva. Lui ricevette un’istruzione religiosa, ma ancora dubitava: il vangelo diventa un sigillo della sua fede ricevuta attraverso la tradizione orale.
Luca ci tiene a precisare che la fede in cui è stato coinvolto, non si fondamenta su delle favole o invenzioni di fantasia, ma su eventi concreti e storici. Quindi ci invita a prendere sul serio la nostra fede, che va nutrita, informata, indagata e non accontentarsi delle quattro nozioni imparate al catechismo. A volte sembra che molti battezzati piaccia giocare a fare gli atei.
Il vangelo scritto da Luca diventa Parola che si realizza ancora oggi presenza e azione di Cristo fra gli uomini, come afferma lo stesso Gesù nella sinagoga di Nazareth, nella quale pronuncia la prima e breve predica. Era solito Gesù andare nella sinagoga del suo villaggio e alzarsi a leggere in assemblea.
Nella sinagoga il culto si teneva al mattino del sabato, sul metodo che abbiamo ascoltato nella 1° lettura. Si iniziava con la professione di fede (lo Shemà) e le 18 benedizioni, poi si leggeva due brani della Scrittura (uno preso dal Pentateuco e l’altro dai Profeti a scelta). Quindi il lettore o uno dei presenti era invitato a tenere l’omelia. Si terminava con il canto dei Salmi e la benedizione.
Nelle Scritture ci sono tantissimi passi che parlano di Dio, ma Gesù ha cercato uno in modo speciale, in cui viene descritta l’umanità povera, prigioniera, cieca, oppressa. Dio vedendo l’uomo/donna diventare, lungo il corso della storia, povero, cieco, oppresso, prigioniero, ha deciso di venire in mezzo a noi, attraverso suo Figlio (“Il Verbo si fece carne”) per ridare vita. Sono parole di speranza per chi è stanco, è vittima, è impoverito e non ve la fa più. Dio riparte dagli ultimi della fila, dagli esclusi ed emarginati della società. Ciò ci fa capire quanto siamo importanti agli occhi di Dio: non è l’uomo/donna che esiste per Dio, ma è Dio che esiste e si preoccupa di noi.
Luca riporta la citazione, in modo sintetico, del testo del profeta Isaia (e Sofonia) scelto da Gesù per lanciare il suo programma: Lui è il Messia consacrato dallo Spirito del Signore nel Giordano e inviato a portare gioia, libertà, occhi guariti, liberazione e proclamare l’anno di grazia del Signore. Il termine “anno” non è limitato cronologicamente, ma dura finché c’è storia. La salvezza, il perdono, la misericordia e l’amore sono doni del Padre offerti in ogni epoca, in tutti i tempi e sono giunti a anche a noi.
Luca non dice cosa ha detto Gesù nella sinagoga, ma che ha letto la Parola di Dio e subito l’attualizzò: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.
Anche noi, nelle nostre celebrazioni, quando ascoltiamo la Parola di Dio, entriamo in comunione con Cristo-Parola, come allo stesso modo, attraverso la bocca, facciamo comunione con Cristo-Pane.
Nelle nostre liturgie, quando ascoltiamo la Parola proclamata non ascoltiamo eventi o racconti del passato per ripassare la storia sacra, ma nel momento in cui ascoltiamo, la Parola di Dio si realizza, diventa “carne” in noi. Ascoltare la Parola di Dio sperimentiamo “l’oggi” di Dio che passa e agisce nella nostra vita. La comunità cristiana è il luogo in cui gli avvenimenti, parole e gesti di Gesù diventano attuali e salvifici, tornano ad essere “vangelo oggi”, cioè storia di salvezza che accade fra noi.

Approfondimento
Luca si preoccupa di raccogliere con cura le testimonianze molteplici su Gesù per trasmettere a Teofilo un insegnamento “solido”, affidabile. Solido non è tanto l’insegnamento che capisci totalmente, che è verificabile, su cui tutti sono d’accordo. Un insegnamento è affidabile quando è capace di generare comunione perché fa appello ed allo stesso tempo attiva le energie dell’amore. Significativamente Esdra conclude il suo insegnamento dicendo alla folla: portate da mangiare a chi non ne ha preparato. Paolo dal canto suo parla di un corpo che vive una comunione che non è solo umana ma spirituale perché capace di garantire sia l’unità – “anche se l’occhio dicesse di non essere orecchio non smetterebbe di appartenere al corpo” – sia l’unicità di ciascuno: “se tutto fosse occhio dove sarebbe il corpo?” In tal senso è commovente che Luca si preoccupi di compiere il suo lavoro per il solo Teofilo, quasi che ogni singola persona valga quanto tutti messi insieme. Esiste davvero un insegnamento capace di unire le persone generando comunione e allo stesso tempo rispettandone la libertà? La risposta è nel Vangelo di Luca in cui Gesù, chiuso e messo da parte il libro delle scritture propone la sua stessa persona come la realizzazione vivente di ciò che prima era solo scritto. Gesù viene descritto nel Vangelo di Luca come colui che è stato unto dallo Spirito Santo e che inaugura un “oggi” perché con la sua resurrezione egli si fa presente in mezzo a noi come colui che è risorto e che parla a tutti, per tutte le generazioni. La storia diventa insomma un tempo di grazia che non si esaurisce più, in cui Lui è ieri, oggi – questa sera – e sempre colui salva. Non è allora il Vangelo che viene affidato a noi ma noi che siamo ad esso affidati come ad un insegnamento “solido” che può sostenere le nostre vite non grazie a delle regole o ad una filosofia ma grazie ad una presenza. La percezione sempre più chiara, tuttavia, di questa presenza non dipende da ciò che vedi ma dalla qualità dell’ascolto. Ogni promessa evangelica, infatti, comincia a realizzarsi nelle nostre orecchie, cioè nel nostro modo di ascoltare. Tu ascolti, dai fiducia, quindi rischi di prendere una piccola decisione conforme a quello che hai ascoltato e ti accorgi che il Vangelo è solido, cioè attiva nella tua vita dinamiche di comunione laddove c’era individualismo, indifferenza, solitudine e dinamiche di libertà laddove c’erano prigionieri da chiamare a libertà, cuori da consolare, ciechi da illuminare. Ma per ascoltare con fede occorre riconoscersi poveri e bisognosi. È ai poveri che il Vangelo è annunciato. Quando Esdra finisce di leggere la scrittura il popolo scoppia in pianto misurando tutta la distanza che esiste fra la loro vita e l’insegnamento trasmesso. Ma è proprio allora che Esdra li evangelizza dicendo loro di tornare a casa e far festa perché la Parola ascoltata è affidabile, è cioè una Parola che chiama ad appoggiarsi su di essa e non semplicemente una lista di doveri da assolvere. Chi ascolta questa Parola con il cuore umile dei poveri sperimenta che essa è accompagnata da una forza che ti sostiene nei tuoi piccoli sforzi di viverla nella vita quotidiana; questa forza Esdra la chiama: la gioia del Signore. Noi la chiamiamo resurrezione. La Parola parla alle nostre tristezze, alle nostre paure, ai nostri inutili legami o preoccupazioni, alle nostre stesse ingiustizie per dirci che la nostra debolezza unita alla forza della resurrezione apre sempre vie di uscita, finché ti accorgi di essere sostenuto da una gioia nascosta perché non fai più le cose per essere felice ma perché sei felice. L’ascolto della Parola di Dio che annuncia la volontà buona di Dio nella mia vita non mi raggiunge necessariamente come l’offerta di uno sconto speciale sulle difficolta della mia vita. Mi raggiunge come un invito ad affidarmi, ad appoggiare la mia vita su un insegnamento solido che può sostenermi proprio perché non ho altri appoggi, proprio perché se penso alle mie debolezze “mi vien da piangere”. Quando mi appoggio a Dio nella mia debolezza e non nella mia sicurezza, proprio allora faccio esperienza che non sono io a dover fare qualcosa per Dio ma Dio stesso a voler fare qualcosa che va al di là delle mie prigioni, delle mie tristezze, della mia disperazione. Oggi la sua Parola non si limita a comandare, suggerire, giudicare ma si compie nella misura della tua capacità di ascoltare, di dar fiducia, di credere che la tua libertà si realizza nella misura in cui a consegni ad un Altro.