III Avvento anno C
Fra una manciata di giorni è Natale. La liturgia ci invita a continuare la nostra preparazione per accogliere il Signore che viene, ma con un atteggiamento di gioia, come dice il profeta Sofonìa: “Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia” e San Paolo: “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto, siate lieti”, perché il Signore si fa sempre più vicino, perché, anche se stiamo vivendo un periodo difficile, preoccupante, Dio ci ama sempre e non smette mai di volerci e farci del bene.
È ancora Giovanni il Battista ad aiutarci a ricevere il Messia nella nostra vita. Domenica scorsa invitava a raddrizzare la via del Signore, a convertirsi. Solo coloro che erano convinti della necessità di un cambio nella propria vita, li battezzava. Così, improvvisamente, il deserto si è affollato: tra la folla ci sono anche i pubblicani e i sodati. Mancano solo gli scribi e i farisei. Sono tutti lì che ascoltano il Precursore. Oggi siamo noi questo popolo in ascolto, anche noi abbiamo bisogno di essere scossi dalle parole di Giovanni.
I tre gruppi rivolgono al Battista la stessa domanda: ““Che cosa dobbiamo fare?”. Domanda che Luca ripete in altri racconti di conversione: le folle a Pentecoste (At.2,37), il carceriere di Filippi (At.16,30) e Paolo sulla via di Damasco (At.22,10).
Per Giovanni la conversione non consiste cambiare la relazione con Dio, ma cambiare i propri atteggiamenti verso gli altri ed evitare il “peccato di omissione”.
Alle folle: se vogliono che il Messia entri nei loro cuori, Giovanni dice: “Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto” (stesse indicazioni in Mt.25). Non invita a dare limosina, ma a condividere, ad essere solidali con gli altri. Il primo segno della conversione è la carità. Il mondo si salverà solo quando, ognuno di noi, impara a vivere con il necessario. Allora il Regno di Dio si fa presente. La nostra natura umana ci spinge ad accumulare sempre di più per sentirci sicuri e salvi.   Allora Giovanni ci invita a includere l’altro.
Ai pubblicani: stavano al servizio dei Romani e riscuotevano le tasse, chiedendo sempre di più per aumentare i loro interessi. La gente li odiava. Erano considerati persone che non avrebbero mai avuto la possibilità di salvarsi per la loro continua condotta immorale e peccaminosa. A loro Giovanni dice: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”, cioè non rubate, siate giusti, evitate la corruzione economica. Chiedere oltre ciò che è stabilito, significa accumulare solo per sé stessi: se imparano ad essere aperti e includere l’altro,  un giorno sapranno includere anche il Messia. Il Battista li invita a cambiare il loro stile di vita, non il loro mestiere.
Ai soldati: probabilmente erano pagani, perché ai giudei era proibito arruolarsi come militari. Sono persone che avevano una certa autorità e potere che utilizzavano per opprimere gli altri, anche utilizzando le armi per minacciare e umiliare i più deboli, i più poveri e infondere paura sotto minacce o false denunce. A loro Giovanni dice: “Non maltrattare e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe”, cioè non maltrattate la gente, evitate le ingiustizie, non abusate del vostro potere. Non chiede di deporre le armi e diventare pacifisti.
A coloro che vogliono ricevere il battesimo e dare l’inizio di un cambio nella propria vita, Giovanni chiede di non vivere secondo la propria volontà orientata al beneficio di se stessi. La conversione non si fa intensificando sacrifici e olocausti, digiuni e preghiere, pellegrinaggi a luoghi mariani, aumentando pratiche religiose, ma attraverso azioni concrete che non esigono affatto un eccessivo sforzo di se stessi. Significa saper includere l’altro.
Giovanni, oltre all’invito a convertirsi, annuncia anche la venuta del Signore. La gente si domandava se non fosse lui il Messia atteso. Apertamente chiarisce che non è lui. Lui prepara solo il cammino per ricevere “il più forte a cui non sono degno si slegare i lacci dei sandali”. Si riferisce alla legge del levirato (= cognato): il cognato era obbligato a sposare la moglie del fratello defunto, rimasta vedova e senza figli. Doveva metterla incinta e il primo figlio riceveva il nome del defunto. Se il cognato non voleva sposarla, allora la vedova andava dagli anziani del popolo per reclamare i suoi diritti. Se il cognato insisteva a non sposarla, la vedova gli toglieva un sandalo dal piede, gli sputava in faccia e il cognato perdeva tutti i diritti e doveri con lei (Dt.25,9)
Con questa immagine, Giovanni dichiara che non è lui lo sposo della vedova, cioè del popolo di Israele, che era in attesa del Messia, lo sposo. Nella Bibbia, la relazione tra Dio e il popolo era rappresentata come una relazione sposale. Ma a causa di molte infedeltà e peccati da parte di Israele, la relazione con Dio era considerata rotta, finita, conclusa e Israele si sentiva come una vedova senza il suo Signore.
Inoltre Giovanni dichiara che battezza solo con l’acqua, simbolo di purificazione, mente il Messia con “Spirito Santo e fuoco”. Come il fuoco separa il metallo prezioso dalla scoria, così farà anche il Messia: “Tiene in mano la pala per pulire l’aia e per raccogliere il frutto nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”. Dopo il raccolto, in una giornata di vento, si separava il grano dalla pula. La paglia veniva poi bruciata, mentre ciò che ha peso, cioè il “frutto”, il grano veniva immagazzinato. La “paglia” non sono le persone, ma la zizzania, la cattiveria, la malvagità presente in noi e nel mondo che viene eliminata dal vento (Spirito Santo), dalla Parola di Dio. Gesù è venuto a portare il fuoco del suo Vangelo, per bruciare quell’iniquità radicata in noi e permettere alla vita divina di manifestarsi nella nostra vita. Solamente lo Spirito permette all’uomo di creare un cuore nuovo e vivere le relazioni con gli altri, in modo giusto, più umano, più fraterno, più solidali.
In questi ultimi giorni che mancano per celebrare il Natale, chiediamo al Signore che ci aiuti a convertirci, a saper includere l’altro nella nostra vita, oltre a Dio, e saper vivere e dare importanza alle cose che contano, che hanno peso e rimangono per sempre.