Marcos 10,17-30  Dom. XXIX, año B
Mentre Gesù percorre la strada che lo conduce al calvario, continua a formare i suoi discepoli (e noi).
Il vangelo di oggi tratta dell’atteggiamento del cristiano nei confronti delle ricchezze, che spesso sono un ostacolo per seguire Gesù. Il denaro è un ottimo servo, ma un pessimo padrone.
Quando si parla di ricchezza subito pensiamo a chi è ricco o a chi ha potere. Dio invece guarda il cuore. Anche un povero può avere un cuore “ricco”. E un cuore “ricco” non entra nella logica di Dio. Dio certamente non vuole che, come credenti, diventiamo persone indigenti, straccioni, ignoranti, svuotati dai nostri sentimenti ed affetti, distaccati dal mondo economico e politico, bensì persone libere da qualsiasi attaccamento. Chi è attaccato o ha il cuore pieno di soldi e potere, non ha spazio per gli altri né per Dio. Gesù ci aveva precedentemente avvisato: “Non potete servire Dio e la ricchezza” (Mc.6,50). L’esempio dell’uomo ricco che rifiuta di seguire Gesù, manifesta come le ricchezze possono esercitare un pericoloso potere anche su persone serie e impegnate.
Un uomo si avvicina a Gesù, al Maestro buono, per chiedere “che devo fare per ottenere la vita eterna?”. Non chiede la salute, la prosperità o un miracolo, ma la vita eterna. Vuole vivere accanto a Dio! Un uomo che ha le idee chiare teologicamente: non parla di “conquistare, meritare”, ma di “ereditare” la vita eterna. L’eredità non è un guadagno, un premio, un salario, ma è un dono gratuito.
Chiede a Gesù cosa deve “fare” ancora. E Gesù gli menziona non i comandamenti che si riferiscono a Dio (i primi tre), ma quelli verso il prossimo che sono tutti doveri verso la vita: “non uccidere (cioè non eliminare la vita fisica), non commettere adulterio (cioè non uccidere la vita del matrimonio), non rubare (cioè non togliere il sostentamento della vita dell’altro), non testimoniare il falso (cioè non uccidere le persone con parole e accuse false, perché la menzogna è causa della morte dell’imputato, come è successo a Gesù), non frodare (questo non è un comandamento, ma Gesù si riferisce a Mosè quando parla dei datori di lavori, i quali, invece di pagare ogni sera gli operai, trattenevano il salario fino al mattino: era considerato una frode e fonte di ricchezza. (Dt.24,14), onora il padre e la madre (non si tratta solo di rispettare i genitori. A quell’epoca non c’erano le pensioni e i figli dovevano mantenere economicamente i loro genitori anziani, perché lasciarli nell’indigenza era un disonore della famiglia. Gesù elenca questo dovere subito dopo quello di non imbrogliare, per farci capire che i doveri verso i genitori o la propria famiglia, non ci esimono dal dovere verso gli altri, verso i bisognosi e i poveri).
Secondo Gesù senza un amore concreto al prossimo non è possibile l’autentico amore a Dio (1Gv. 4,20: Colui che dice di amare Dio e non ama il suo fratello è bugiardo”). Riusciamo a stare bene con Dio, solo se riusciamo a stare bene con il prossimo.
Per i rabbini, per essere giusti, era sufficiente osservare i comandamenti, che quest’uomo osservava fin dall’infanzia. Ma sembra che non avesse capito a cosa servissero, cioè che l’osservanza dei comandamenti era il cammino per raggiungere Dio, la vita eterna. Infatti si sentiva insoddisfatto, che qualcosa gli mancasse: accontentarsi per tutta una vita a “non fare” del male, non basta, non riempie il cuore. Occorre praticare anche il bene. Inoltre una religione che non incide nella vita quotidiana non ci rende felici.
Gesù, dopo averlo fissato con amore, vuole aiutare quest’uomo a fare un passo in più nella vita, passare dall’osservanza delle pratiche religiose al discepolato con un cuore libero: “Una cosa sola ti manca: va, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro nei cielo; poi vieni e seguimi”.
Lo invita a preoccuparsi della felicità degli altri e, di conseguenza, permettere a Dio di prendersi cura di lui e della sua felicità. È andato da Gesù per avere di più e Gesù invece lo invita a dare di più.
Quell’uomo se ne andò “rattristato”, perché ha capito di essere schiavo sia del giudizio degli altri (cosa direbbe la gente se osasse lasciare tutto ai poveri…) e sia dei suoi beni: lui credeva di possedere i beni, ma in realtà ne era lui posseduto.  Infatti preferisce fidarsi delle sue ricchezze accumulate, che di Dio.
Non è stato capace di accogliere e mettere in pratica la Parola di Gesù. Se la Parola di Dio è accolta, sempre salva, sana, consola, però se è rifiutata, allora rattrista e indurisce il cuore.
Il Vangelo chiede sempre un impegno, una decisione, una risposta. Ce lo ricorda la Lettera agli Ebrei: “La Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio…”.
La scelta di quell’uomo viene poi commentata da Gesù: “E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno di Dio”, suscitando nei discepoli una preoccupante domanda: “Allora, chi si salverà?”. Gesù risponde che per Dio nulla è impossibile e tutto è questione di fede: i cambiamenti, la conversione, il servizio, la guarigione della “sclerocardia” apparentemente impossibili per gli uomini diventano effettivi con la grazia di Dio. Il distacco dei beni che possediamo esige un atto di generosità che solo un “miracolo” di Dio può aiutarci a compierlo. Quindi la salvezza non si ottiene tramite le nostre possibilità umane, ma sta nelle mani di Dio.
Gesù non identifica la ricchezza con il male e la povertà con il bene. Solo avverte che le ricchezze mettono in pericolo la salvezza, perché allontanano da Dio e discriminano gli altri. Gesù non condanna il ricco, ne santifica il povero: chiede a ciascuno di mettersi al servizio degli altri e condividere ciò che possiede. Nella nostra società, la persona vale per ciò che ha o consuma e non per quello che è. Gesù guarda invece al cuore della persona. Gesù non disprezza i beni né invita a distruggerli, ma indica come valorizzarli: vanno donati ai poveri.
I discepoli, che avevano abbandonato tutto per seguire Gesù e quindi non erano ricchi, di fronte alle sue parole circa il pericolo delle ricchezze, rimangono sbigottiti. Non avevano ancora colto il senso del servizio, della spogliazione e della gratuità. Si tratta di condividere ciò che siamo e ciò che abbiamo, poco o molto che sia.
L’osservazione di Pietro, in nome dei discepoli, contrasta con il rifiuto dell’uomo ricco. Seguire Gesù non è un cammino verso la morte, la frustrazione, il sacrificio, la rinuncia, ma verso la libertà, la vita, un profondo senso della vita.
Per seguire Gesù, occorre imparare a lasciare ciò che impedisce la piena libertà dell’uomo: viene elencata (prima sulla bocca di Pietro e poi su quella di Gesù) una lista di persone e cose da cui il discepolo è chiamato a staccarsi. Una scelta che Gesù assicura il 100 per uno già in questa vita, cioè un’abbondante benedizione di Dio, che può essere accompagnata anche da persecuzioni, le quali non impediscono affatto la vita eterna. Ma è fondamentale fidarsi di Dio.
“Sparirà con me quello che trattengo, ma ciò che dono resterà nelle mani di tutti”