Gv. 6,1-15: XVII Anno B
Da oggi, si interrompe la lettura di Marco e, per 5 settimane, mediteremo il sesto capitolo di Giovanni che è una catechesi sull’Eucarestia. In Giovanni non troviamo l’istituzione dell’Eucarestia durante l’ultima cena di Gesù come negli altri vangeli, ma viene spiegata in due modi: uno è il servizio del lavare i piedi e l’altro è il segno della condivisione dei pani e dei pesci.
Dopo aver attraversato il lago di Galilea, Gesù sale sulla montagna (come fece Mosè quando era la guida e il mediatore tra Dio e il popolo uscito dalla schiavitù d’Egitto). Ed è lo stesso Gesù che si accorge della realtà della gente. A partire dal bisogno della folla, Gesù fa una domanda che mette alla prova Filippo e gli altri discepoli. È Gesù che pone nel nostro cuore il bisogno dell’altro.
In questa scena del vangelo, viene dato più spazio al dialogo tra Gesù e Filippo, rispetto al miracolo in sé della moltiplicazione dei pani e pesci. In questo modo Gesù spiega il significato del suo gesto: non è importante mangiare il pane, ma capire cosa si sta mangiando, da dove viene questo pane e quale vita nutre. Tutto ciò dentro la cornice della festa di Pasqua.
Gesù chiede a Filippo da dove potrà venire il pane capace di sfamare tanta gente. L’avverbio “dove” rivela la provenienza del pane che è Gesù stesso. Questo avverbio lo troviamo anche nell’episodio delle nozze di Cana, quando il maestro di tavola di non sapere da “dove” viene il vino migliore (2,9); Nicodemo non sa da “dove” viene lo Spirito (3,8); la Samaritana chiede a Gesù da “dove” prende l’acqua viva (4,11); i capi del popolo non sanno da “dove” venga Gesù (4,27). In tutte queste circostanze Gesù rivela se stesso, rivela che viene dal Padre e porta vita in abbondanza.
Anche Filippo non sa da “dove” prendere il pane, ma sa che non ha mezzi sufficienti per acquistarlo.
Subito calcolò il costo per affrontare la necessità della gente: secondo lui non sarebbero sufficienti 200 denari, cioè il salario di quasi sette mesi lavorativi (il padrone della vigna che cerca lavoratori fino all’ultima ora, da a ciascuno un denaro giornaliero; lo stesso valore del vaso di nardo che Maria rompe per lavare i piedi a Gesù). Tale quantità di denaro basterebbe a ingannare la fame: sarebbe sufficiente solo per dare un pezzo di pane a ciascuno.
Filippo cerca la soluzione del problema secondo la logica di un sistema economico di compera e di vendita: pensa che con il denaro si può risolvere tutto.
Andrea, che significa “coraggioso”, trova una soluzione diversa dal comprare, cioè quella del condividere ciò che si ha. Dispone “cinque pani e due pesci”: “ma che cos’è questo per tanta gente?”. Ci sono realtà, situazione, “ferite” nell’umanità che sono troppo grandi da affrontare, da lenire. Esiste una sproporzione tra le nostre forze/capacità e i bisogni/sofferenze di tante persone, che spesso ci sentiamo piccoli, insufficienti, incapaci (come la corsa agli armamenti, la globalizzazione economica, l’eccessiva distruzione delle risorse naturali, l’irresponsabilità di diversi governanti che contribuiscono a mantenere tante popolazioni nella fame e miseria, la politica internazionale sfruttatrice da parte dei paesi ricchi).
L’importante è rendersi conto di ciò che abbiamo, anche se poco, invece di lamentarsi di ciò che ci manca. L’errore è pensare che il poco che abbiamo non conti nulla.
Filippo ed Andrea rappresentano il tentativo dell’uomo nel trovare una soluzione alla difficile situazione di sfamare una folla numerosa. Gesù rappresenta l’intervento divino che va incontro al limite umano.
Il pane che Gesù sta per dare, non si compra ma si accoglie. Per averlo occorre entrare nell’ottica del dono, della gratuità, come ha fatto quel ragazzo che ha condiviso quel poco che aveva, mettendolo nelle mani di Gesù: mani che non arraffano, che non trattengono, ma condividono. Per questo che quel poco pane condiviso può nutrire tutti in abbondanza e avanza. Il pane spezzato, abbonda.
In questo episodio della moltiplicazione dei pani Gesù vuole aiutare la gente a capire che il Dio della Bibbia non è il Dio dei miracoli, ma il Dio che vuole uomini/donne responsabili. Quando ci troviamo di fronte a piccoli o grandi problemi della vita, la prima tentazione è quella di sentirci impotenti e quindi ci rivolgiamo a Dio affinché intervenga o faccia un miracolo. In questo modo deleghiamo a Lui ciò che dovremmo fare noi.
Lo stesso Gesù ha rifiutato la proposta del diavolo, nella prima tentazione, di risolvere il problema della fame, convertendo le pietre in pane. Come pure non ha chiesto, come Mosè, che piovesse “pane del cielo” per saziare la folla affamata, ma chiede qualcosa di semplice e molto umano, alla portata di tutti: condividere i beni materiali in questo mondo dove da una parte si spreca e dall’altra si crepa.
Quindi Gesù invita noi stessi a compiere i miracoli nella nostra vita. Per Gesù, quel ragazzo è un modello da imitare. Ci insegna a mettere a disposizione quel poco che abbiamo. Finché rimaniamo nella logica delle idee, dei progetti, dei calcoli, la realtà non cambia. Quindi Gesù ci dice di tirar fuori il “ragazzo” che c’è in noi. Non aspettiamo che siano sempre gli altri a fare il primo passo.
Il poco quando viene condiviso basta e avanza; “…riempirono 12 canestri”. Dio è generoso, ma non tollera gli sprechi. Lo spreco è davvero un insulto ai poveri e un disprezzo dei doni che Dio ci offre. Il vero problema, oggi, non è la mancanza di pane, ma la condivisione. Quel ragazzo ha vissuto concretamente il significato della Pasqua: occorre concretizzare il passaggio dal “mio” pane al “nostro” pane. Ecco il vero miracolo.
Possiamo immaginare le conseguenze che si sarebbero create se quel ragazzo fosse stato egoista e avesse mangiato da solo la sua merenda… Invece è capace di fidarsi di Gesù: affida quel poco che ha nella mani di Gesù, il quale, dopo aver reso grazie (eucaristia), lui stesso distribuisce tutto quanto, anzi si distribuisce se stesso a chi accetta la logica del servizio, della gratuità, della condivisione.