PENTECOSTE Atti 2,1-11; Gal. 5,16-23; Gv.15,26-27; 16,12-15   Anno B
Il mistero pasquale (passione, morte, risurrezione, ascensione e pentecoste) è avvenuto nel medesimo istante, nel momento della morte di Gesù, quando sulla croce, chinato il capo, “consegnò lo spirito” (Gv.19,30). Giovanni presenta l’effusione dello Spirito nel giorno di Pasqua per mostrare che è un dono del Risorto. Invece Luca, per aiutarci a comprendere i diversi aspetti dell’unico mistero, lo presenta in diversi momenti. Così colloca la venuta dello Spirito nel contesto della festa di Pentecoste, formando un ponte tra Gesù Cristo e la comunità dei credenti.
Pentecoste o festa delle settimane (Shavuôt) era un’antica festa agricola, celebrata sette settimane dopo la Pasqua (Lv.23,15-21) e che, con il trascorrere del tempo, aveva assunto anche il senso di commemorazione dell’alleanza con il Signore, che aveva donato la legge. Sul monte Sinai, Mosè aveva incontrato Dio e ricevuto la Legge. Per questa predilezione, gli israeliti ringraziavano Dio con una festa: la Pentecoste. La teofania del Sinai (Es.19,16-22) era avvenuta tra tuoni, lampi, rumore di tromba, fumo che indicavano la presenza del Signore sul monte.

Luca per descrivere ciò che è successo nel Cenacolo utilizza le stesse metafore che nell’ambiente giudaico erano tradizionalmente collegate alla festa di Pentecoste, ma dando un nuovo significato: l’antica legge è stata sostituita dallo Spirito, che sarà la nuova legge per il cristiano. Non più leggi esterne da compiere e che impongono un certo comportamento, ma un cuore nuovo abitato dallo spirito che rende capace ogni uomo di amare come Dio.
La promessa di Dio fatta attraverso Ezechiele si è realizzata: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio Spirito dentro di voi” (Ez.36,26-27).
Quel giorno, tutta la città di Gerusalemme udì una “grande scossa”, sebbene non era crollato nulla: lo Spirito Santo aveva iniziato a frantumare le barriere, le paure, le chiusure, i limiti invalicabili e insuperabili di cui l’umanità era soggetta. All’interno del cenacolo, i discepoli vennero fortemente scossi interiormente e su di loro si posarono “lingue come di fuoco”. Colmi di Spirito Santo cominciarono a parlare altre lingue. I rabbini dicevano che sul Sinai, quando Dio aveva dato la legge, le sue parole avevano preso la forma di 70 lingue di fuoco per indicare che la Torah era destinata a tutti i popoli. Ora il dono dello Spirito è destinato a tutti gli uomini e a tutti i popoli.
Pentecoste è il contrario di Babele (Gn.11,1-9) dove gli uomini erano disuniti fra loro a causa dell’intento di raggiungere Dio con le proprie forze e capacità. Ora è lo Spirito che ci permette di incontrare Dio e comprendere l’altro pur nelle sue differenze.

L’umanità che sta a cuore a Dio non può non essere amata. L’amore tra il Padre e il Figlio non può restare chiuso in loro, ma ci viene comunicato come DONO. “Lo Spirito Santo è l’incessante donarsi di Dio” (Papa Benedetto XVI).
Un regalo appartiene alla sfera delle convenzioni personali o sociali. La parola regalare viene da “regalia” che indica i diritti del Re o imperatore:  una sorta di offerta, di omaggio dovuto. Il regalo è associato a uno scambio, per assolvere a obblighi verso familiari, amici, colleghi, conoscenti, vicini. È un dare, a volte, calcolato, è una ricompensa data a qualcuno per qualcosa che ha fatto, è saldare un credito o offrire qualcosa perché dovuto, meritato.
Dono deriva dal verbo dare ed indica dare senza nessuna attesa di ricompensa. Implica gratuità e manifesta affetto incondizionato, amicizia, stima, fiducia, attenzione verso una persona. È un gesto spontaneo che deriva dall’amore che proviamo verso qualcuno. Il dono è un atto dove il bene principale non è l’oggetto donato ma la relazione tra chi dona e chi riceve. Il dono non è previsto, non è legato al merito, sorprende. Con il dono riceviamo il donante.

Negli Atti, attraverso il dono dello Spirito, l’amore di Dio si fa presente, non rimane in silenzio, anzi sconvolge la vita dei discepoli chiusi nel Cenacolo. L’amore di Dio è come il vento: si diffonde ovunque, non ha confini, non può essere trattenuto. È come il fuoco che divampa, scalda, trasforma.
L’amore ci cambia, non può lasciarci indifferenti. Però possiamo soffocarlo, renderlo sterile (cfr. II lettura): “Nella storia dell’uomo sempre ci saranno resistenze allo Spirito Santo, opposizioni alle novità e ai cambiamenti” (Papa Francesco).
Con la Pentecoste, è iniziato il tempo della testimonianza, quindi il tempo della responsabilità ed dell’impegno di ogni credente, della Chiesa tutta. Tempo di missione. Gesù, nel vangelo di oggi, ha assicurato ai suoi discepoli di rimanere continuamente accanto a loro tramite la presenza del Consolatore. Dio non smetterà di parlare all’umanità, di comunicarsi, perché la Parola, annunciata e testimoniata dai discepoli, è espressione dell’amore. E di fronte alle difficoltà, resistenze e persecuzioni che i discepoli dovranno affrontare, lo Spirito sarà il loro avvocato, consolatore: il “Paràclito”. È la nostra garanzia, il nostro sostegno, perché essendo stato lo Spirito “compagno inseparabile di Gesù” (Basilio di Cesarea), sarà compagno inseparabile anche di ogni cristiano.
Inoltre lo Spirito, l’amore di Dio, non ripete le cose del passato, ma “vi annuncerà le cose future”, nel senso che la comunità dei credenti, di fronte ai nuovi bisogni ed esigenze della storia, sarà capace di dare risposte nuove. Non un nuovo messaggio, ma la comprensione e l’attualizzazione dello stesso in nuove circostanze, per il bene di ogni uomo. Lo Spirito, si fa presente nella storia, “parlando” ora di ciò che Gesù “ha detto” allora.
Abbiamo bisogno della presenza dello Spirito per credere, per scoprire il volto di Dio, per capire le sue vie e percorrerle, per far vibrare la sua Parola in noi, per liberarci dal nostro egoismo, dalle nostre paure e chiusure e lasciarci abitare da Dio.
Il cristiano è un uomo, più lo Spirito Santo (Charles Péguy)