Mc.16,20-25: Ascensione di Gesù Anno B
Sono trascorsi già 40 giorni dalla celebrazione pasquale. Dopo la risurrezione, Gesù è apparso varie volte ai suoi discepoli per rafforzare la loro fede, dando loro il dono della pace e della missione di evangelizzare, fino ai confini del mondo. Quindi fu elevato in cielo e glorificato dal Padre.
L’ascensione è il contrario del Natale (Fil.2,6-8). Ma qualcosa è cambiato: scese come Dio e salì come uomo (S. Ambrogio).
Nel Credo professiamo “Salì al cielo e siede alla destra del Padre”. Anche S. Stefano affermava: “Ecco che io vedo i cieli aperti, e il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio” (At.7,55-56) e S. Paolo: “ha risuscitato dai morti e l’ha fatto sedere alla sua destra nei cieli…” (Ef.1,20-22).
Quando diciamo che “Cristo è seduto alla destra del Padre”, non significa che il Padre è seduto alla sinistra di Cristo: affermiamo che Gesù Cristo entrò nella pienezza e nella gloria di Dio. Quindi “cielo” non indica uno spazio o luogo determinato, ma il modo come Cristo unisce inseparabilmente l’uomo e Dio.
Gesù, con tutta la sua umanità è immerso nella Trinità, e questo coinvolge anche noi. Nel giorno dell’Ascensione, da quando il risorto è ritornato al Padre “un pugno di terra è nella Trinità” (B. Forte). Così le nostre paure, fragilità, dolori e sofferenze, tutta la dimensione umana (eccetto il peccato), attraverso il Figlio, è perennemente presente di fronte a Dio. Con la risurrezione e ascensione, Gesù divinizza la nostra realtà corporale. Lui fu liberato non dalla materia, ma dai limiti terreni. Ciò che è accaduto a Cristo, accadrà a tutta l’umanità. La sua risurrezione e ascensione è annuncio e anticipazione della nostra: “Dio ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere in Cristo: per grazia infatti siete stati salvati. Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli in Cristo Gesù” (Ef.2,4-9)

In questo tempo che va dall’Ascensione di Gesù fino alla Parusia, è il tempo della Chiesa. Cosa devono fare i discepoli, cosa dobbiamo fare noi, nell’attesa del suo ritorno?
Luca per due volte racconta l’episodio dell’Ascensione: alla fine del suo vangelo e all’inizio del libro degli Atti. Nelle due descrizioni troviamo delle incongruenze:
Lc.24,50-53: il Risorto conduce i suoi discepoli verso Betania e lì “si staccò da loro e fu portato verso il cielo”. I discepoli ritornarono a Gerusalemme. Siamo nel giorno di Pasqua.
Atti 1:Gesù proibisce ai discepoli di allontanarsi da Gerusalemme, luogo dove scenderà lo Spirito e l’ascensione avviene 40 giorni dopo la risurrezione. Eppure sul Calvario Gesù aveva promesso al ladrone: “oggi sarai con me nel paradiso”. Cosa ha fatto durante questo periodo?
Certamente Lc non è interessato a fornire esattamente informazioni su dove, come e quando Gesù è salito al cielo. È preoccupato invece di affrontare alcune difficoltà emerse nella sua comunità, utilizzando un linguaggio che forse noi oggi facciamo fatica a comprendere. Si era diffusa fra i discepoli la convinzione dell’imminente ritorno di Cristo. Ma il tempo trascorreva e il Signore non arrivava. Delusione e dubbi si manifestavano tra i credenti.
Negli Atti, Luca con una sola frase descrive l’ascensione di Gesù (1,9), perché preferisce evidenziare due atteggiamenti sbagliati dei discepoli (=credenti della comunità di Luca): prima della partenza di Gesù, essi sono curiosi di conoscere “i tempi e i momenti” della venuta del Regno d’Israele (attesa di un intervento esclusivo da parte di Dio a beneficio di vecchie concezioni giudaiche e nazionaliste) e dopo la sua scomparsa stanno a guardare il cielo. Il primo atteggiamento è rimproverato da Gesù, il secondo dagli angeli. Di fronte alla curiosità degli discepoli, Gesù li invita a non speculare o fare previsioni gratuite sul “quando” (che rimane un segreto di Dio), ma ad assumere il compito di essere testimoni (martyres): “di me sarete testimoni”. Il compito dei discepoli è la “missione”, ma non sono i popoli che andranno a Gerusalemme, bensì è la comunità che da Gerusalemme deve andare verso i popoli. Non ci sono confini, né luoghi vietati, ne popoli o uomini ai quali Cristo non debba essere testimoniato.
Partito Gesù, i discepoli sono rimasti a guardare il cielo. La religione non può essere un’evasione, ma uno stimolo a impegnarsi concretamente per migliorare la vita degli uomini, dando prova dell’autenticità della nostra fede. Certamente Gesù ritornerà, ma ciò non significa estraniarci dai problemi di questo mondo.
L’Ascensione ci invita a guardare quasi brutalmente alla terra,  ai drammi e ai bisogni urgenti dei nostri fratelli: “Perché guardate il cielo?” (At.1,11).
Prima della Pasqua, i discepoli erano guidati e stimolati dalla presenza fisica di Gesù. Dopo l’ascensione, Gesù continuava ad accompagnare i suoi discepoli nel mondo, ma essi si sentivano soli e avevano la sensazione di essere di fronte a una missione molto superiore alle loro forze. Come potevano dei semplici pescatori di Galilea continuare l’impresa di Gesù per migliorare il mondo?
La finale del vangelo di Marco, proposto dalla liturgia di oggi, riflette una comunità tentata di chiudersi in se stessa e di rinunciare al mandato di Gesù: “Andate in tutto il mondo e predicare ad ogni creatura”. Animata da questa Parola, la comunità è partita per le vie del mondo. Gesù non ha promesso una strada comoda, facile, spianata, piena di successi, immune di prove, dolori e debolezze. Però ha assicurato la sua compagnia e la possibilità di compiere dei “segni”: “cacciare i demoni”, che rappresentano le forze di morte presenti nell’uomo e che lo spingono a fare scelte opposte al vangelo: orgoglio, bramosia del denaro, odi, egoismo, indifferenza al bisogno degli altri; “lingue nuove”: l’umanità ha bisogno di un linguaggio nuovo e non più quello della violenza, guerra, insulto, ma quello dell’amore, del perdono, del servizio gratuito, solidarietà; “prendere in mano i serpenti”, cioè affrontare le difficoltà e gli ostacoli che intralciano il cammino; “bere veleni senza subire danni”, cioè che le attrattive seducenti della società non avranno più presa su di loro; infine “guarire gli ammalati”.
Segni che ci dicono che l’ascensione non accorcia, ma allunga la mano di Dio a favore dell’umanità: i primi discepoli si sentono così accompagnati dal Cristo Risorto che, insieme a loro, operava prodigi di salvezza.
Tocca a noi oggi continuare la missione di Gesù, vivere la sua Parola e costruire il Regno di Dio. Nessuno può rimanere con le braccia incrociate o dire che non ha niente da fare. Gesù non vuole    discepoli “disoccupati” o “in cassa integrazione”. Il Signore si fida di noi, si aspetta molto da noi. Lo Spirito santo che manderà ci aiuterà a svolgere questa missione. Ma Gesù aveva anche detto: “Quando ritornerò, troverò ancora la fede?

IO HO FATTO TE
Un uomo, passeggiando nel bosco, vide una volpe che era stata ferita gravemente alle zampe posteriori e non poteva muoversi. Osservando attentamente quella pietosa scena, si chiedeva come potesse sopravvivere rimanendo in quelle condizioni. In quel momento vide una tigre che portava un pezzo di carne in bocca. La tigre, che era ormai sazia, lasciò quel pezzo di carne per la volpe. Il giorno dopo, Dio alimentò nuovamente la volpe per mezzo della stessa tigre.
Allora quell’uomo si meravigliò della grande bontà di Dio e pensò: “Voglio anch’io rimanere in un angolo della strada, confidando nel Signore, che certamente mi darà quanto mi è necessario”. E così fece per diversi giorni. Però non succedeva nulla. Quel povero uomo si indeboliva sempre di più, e stava rischiando di morire, quando improvvisamente ascoltò una voce: “Oh tu, che ti sei messo in un cammino sbagliato, apri gli occhi alla verità: cerca di imitare l’esempio della tigre e smettila invece di imitare la volpe ferita”.
Subito dopo, quell’uomo vide una bambina sola, spaventata, magra, infreddolita e con poche speranze di poter trovare qualcosa da mangiare quel giorno. L’uomo si arrabbiò e si rivolse a Dio con queste parole: “Perché permetti queste cose? Perché non fai niente per questa bambina mal conciata?”.
Non ebbe immediatamente risposta: Dio rimase in silenzio. Ma durante la notte, mentre quell’uomo rimaneva ancora arrabbiato, si sentì dire: “Certamente che ho fatto qualcosa. Io ho fatto te”.