Gv. 20,19-29   II Dom. Pasqua anno B.
A noi piacerebbe tanto poter avere le prove “visive”, quasi fotografiche, della resurrezione di Gesù.
Ma le “apparizioni” non sono delle “istantanee” di fatti di cronaca, ma dei racconti teologici. Esse sintetizzano la testimonianza di fede delle prime comunità nel Gesù risorto. Racconti che sono stati composti per noi che siamo invitati a credere, a fidarci di Dio e di ciò che ha operato in Gesù, senza vedere. Questa è la “beatitudine” che l’evangelo annuncia: “beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno (20,29).
Il vangelo di oggi non ci parla di persone fortunate, come Tommaso, che hanno potuto toccare con mano il Risorto, mentre noi dobbiamo solo accontentarci di credere senza vedere.
L’episodio di Tommaso vuole descrivere l’itinerario di fede di un discepolo che fa “fatica a credere”. Per quanto Gesù avesse detto e ripetuto ai suoi discepoli che sarebbe risorto, essi impiegarono probabilmente parecchio tempo a comprendere le sue parole. I Vangeli contraggono i tempi e ci fanno subito giungere alla meta, alla conclusione.  Il racconto dell’incredulità di Tommaso ci aiuta a colmare i tempi che vanno dal dubbio alla fede. Il percorso di Tommaso è, in qualche modo, il cammino di ciascuno di noi.
Veniamo subito introdotti nel luogo dov’è riunita la comunità. Siamo alla sera del primo giorno della settimana e i discepoli hanno certamente già ascoltato la testimonianza di Simon Pietro e dell’“altro discepolo” che erano stati al sepolcro, e quella di Maria Magdalena che ha visto il Signore.
Di fronte a questo annuncio, qual è stata la reazione della comunità? I discepoli si sono trincerati dietro le porte ermeticamente chiuse per timore dei Giudei. Sono come le pecore senza pastore, che si nascondono dal ladro o dal brigante che minaccia di ucciderle e distruggerle. I discepoli temono di subire rappresaglie, per questo vivono nel terrore. Invece di confidare in Gesù-la-porta-, chiudono le porte. L’unico aspetto positivo che si riscontra in questa scena è che i discepoli sono ancora insieme.
Quando il Risorto appare “in mezzo a loro” non li rimprovera per averlo abbandonato, ma si dimostra l’amico di sempre, vicino e attento. Il Risorto ci aiuta a trovare la via per uscire da quei luoghi e situazioni in cui ci siamo rinchiusi, dai quei tunnel dove ci siamo infilati, intrappolati e smarriti. Anche i discepoli, per paura, hanno chiuso le porte del Cenacolo e non sanno come uscirne. Quel luogo è diventato per loro un sepolcro, luogo di morte.
Le porte chiuse del nostro cuore non sono un ostacolo per tenere Gesù lontano da noi. Siamo chiusi dentro a causa del rancore, dello scoraggiamento, della rabbia, del sentirci abbandonati e non accettati, dalla paura del fallire e non vedere orizzonti nuovi. Per uscire da questa situazione dove ci siamo intrappolati, dice Gesù, abbiamo bisogno di pace e di perdono. Il perdono libera il cuore, sposta le pietre pesanti dal nostro cuore. Ciò che permette ai discepoli di percepire la presenza del Risorto non è il passare attraverso le porte chiuse di una stanza, ma l’aprire le porte chiuse del proprio cuore.
Dopo aver dato questi doni alla comunità, Gesù vuole confermare la sua identità: “Mostrò loro le mani e il costato”, per dire che il Risorto è il Crocifisso.
Nonostante questa profonda esperienza, nella quale hanno ricevuto il potere di vincere le forze del male e anche il suo Spirito che li invia, otto giorni dopo i discepoli sono ancora rinchiusi con le porte sbarrate. Esperienze di grazia che non riescono a scongelare il loro (e nostro) cuore (Tommaso ci inviterebbe a mettere il dito nella piaga per sbloccare certe situazioni ingessate e dolorose)

Nella seconda parte del Vangelo, Giovanni ci racconta l’episodio di Tommaso, assente otto giorni prima. Quando l’evangelista scrive (verso il 95 d.C.) Tommaso era già morto. Attraverso la figura di Tommaso (non per denigrarlo o diffamarlo), l’evangelista presenta le obiezioni e le difficoltà dei cristiani della terza generazione che certamente non hanno visto il Signore Gesù come pure gli Apostoli. Cristiani con i loro dubbi, che sentono il bisogno di vedere, toccare, verificare la presenza del Risorto. Si domandano se è possibile fare l’esperienza del Risorto, se ci sono prove che è veramente vivo, vogliono capire perché non appare più. Domande che ci facciamo anche noi oggi. I vangeli sinottici rispondono mostrando le difficoltà degli Apostoli a credere nel Risorto, invece Giovanni prende Tommaso come simbolo di ogni credente che fatica nel credere alla risurrezione di Gesù.
Come i discepoli non hanno accettato la testimonianza di Maria Maddalena, adesso è Tommaso che non riesce a credere attraverso i testimoni oculari. Lui vuole non solo vuole vedere, ma perfino toccare le ferite del crocifisso (il segno dei chiodi è l’unica testimonianza che indica che Gesù è stato crocifisso in croce. Solo Giovanni lo annota).
Di nuovo i discepoli, otto giorni dopo, sono riuniti in casa: allusione al giorno del Signore, all’Eucarestia. Ma le porte sono ancora chiuse (paura di lasciare un luogo sicuro per svolgere la missione nel mondo affidatagli da Gesù?). Gesù si presenta ancora in mezzo a loro, questa volta per aiutare Tommaso a progredire nella sua fede. Infatti professa la sua fede: “Signore mio e Dio mio “: per la prima volta, nel vangelo di Giovanni, Gesù è chiamato Dio.
Non ci viene detto se Tommaso ha avuto la possibilità di mettere le sue dita nei fori dei chiodi (sono i pittori che rappresentano Tommaso toccando le piaghe del Signore). Dalla risposta di Gesù: “Perché mi hai veduto, hai creduto, beati quelli che pur non avendo visto crederanno”, possiamo pensare che non l’abbia fatto. Comunque, sembra che Gesù rimproveri Tommaso per la sua incredulità di fronte ai testimoni oculari e alla sua pretesa di vivere un’esperienza individuale, straordinaria e separata e fuori della comunità (Secondo alcuni studiosi, Tommaso ha espresso il desiderio di arrivare alla fede mediante un incontro personale e diretto con Gesù e non solo avere una fede per “sentito dire”. La sua non è curiosità, ma è la maturità della fede. Da questo incontro personale con Gesù Risorto scaturisce la sua professione di fede. Magari anche noi potessimo avere la possibilità di toccare le piaghe del mondo e dire: “Mio Signore e mio Dio”).
Sono pochi quelli che hanno avuto l’opportunità di vedere il Risorto e solo Tommaso ha avuto la possibilità di “toccare” il costato di Gesù, ma sono innumerevoli quelli che sono invitati a credere alla testimonianza dei primi discepoli: questi futuri discepoli che crederanno senza aver visto sono proclamati beati, perché la fede autentica dovrebbe prescindere dal vedere e dal toccare. La nostra è   una fede apostolica, fondata sulla testimonianza concreta di quanti hanno “mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti” (At 10,41).
Ci piacerebbe vedere per credere, invece Gesù ci propone il contrario: credere per poter essere noi stessi un segno che gli altri possono vedere.

Come conclusione, l’evangelista ci avverte che i segni rivelatori di Gesù contenuti nel suo vangelo sono incompleti. Però quei segni che sono stati raccolti e scritti hanno lo scopo di rafforzare la fede nel Messia, Figlio di Dio. Ma si constata ancora oggi che molti cristiani sono in ricerca di apparizioni, prodigi, messaggi celesti, anche se la DV 14 afferma chiaramente che non ci si deve aspettare nessun’altra rivelazione pubblica prima della venuta finale del Signore. Forse sono i “Tommaso” del giorno d’oggi? Il Risorto si rende presente dove la comunità si raduna, perché la nostra fede si alimenta con/nella comunità, attraverso la sua Parola, la celebrazione dell’Eucaristia e nella pratica dell’amore verso il prossimo.

autori consultati: Armellini, Camacho, Matteos, Squizzato e altri