Domenica 7 dicembre 2025 – II di avvento / A

La figura di Giovanni il Battista illumina il cammino di avvento in questa seconda domenica. Egli alza la voce nel deserto, invitando in questo modo, ad uscire dalla città e dal chiasso, a cercare nel silenzio e nella solitudine, piuttosto che nella distrazione dei social, una comunione più profonda con un Dio che vuole farsi vicino. Giovanni, dunque, da un lato si rivolge ai farisei con severità, ammonendoli circa la loro falsa sicurezza derivante dal fatto che si considerano figli di Abramo. Dall’alto si rivolge alle folle che confessano i loro peccati con parole piene di speranza, dicendo che viene uno più forte di lui, e quindi più forte di tutti, che battezza nel fuoco dello Spirito Santo. Il contrasto tra le due predicazioni mette in luce il fatto che la salvezza non è il raggiungimento di un certo stato ideale di vita di cui uno possa vantarsi.

La salvezza consiste piuttosto nel mettersi in cammino, nel rivolgersi a Dio mentre ancora ci si riconosce molto distanti da lui e scoprire che è Dio stesso che ci viene incontro nel suo figlio. Il Dio che Giovanni annuncia non è un Dio da raggiungere, ma un Dio da accogliere. Un Dio che non cerca tanto i nostri meriti, i risultati delle nostre capacità, quanto quelli che Giovanni chiama i “frutti di conversione”. Cioè quei desideri di essere più buoni e più veri che non possiamo produrre da noi stessi in un colpo solo ma che possiamo coltivare. Sono quei tentativi, spesso esitanti o fallimentari, che comunque ci mantengono in un atteggiamento di cammino, in una volontà di crescita e quindi in una disposizione umile a lasciarsi aiutare. I frutti di conversione, dunque, maturano lentamente in questo mai finito cammino di conversione e giungono spesso inattesi e sorprendenti per chi ha saputo ogni giorno ricominciare da capo con pazienza e ogni giorno chiedere di nuovo la grazia e la forza di perseverare.

L’avvento incoraggia questa fiduciosa perseveranza annunciando appunto che Colui che viene è più forte di noi. In questa prospettiva si comprende il rimprovero di Giovanni ai farisei che si fanno battezzare per sfuggire a quella che loro pensano sia l’ira divina ormai imminente. E come se Giovanni li sfidasse a considerare se si tratta di sfuggire ad una grande ira o piuttosto di andare incontro ad una grande grazia, ad una grazia che corrisponde all’amore di uno più forte di noi. Se la scure è posta alla radice dell’albero non è perché Dio sia particolarmente severo ma perché Dio sa di poter far nascere cose nuove dalla radice appunto. Per questo Isaia può proclamare che il dono dello Spirito Santo sarà dato ad un germoglio che spunta da un tronco, alla radice di Iesse che sembrava ormai inaridita e destinata a scomparire.

Quando le circostanze della vita ci deludono ed abbattono la nostra superbia e la nostra presunzione allora è il tempo di permettere allo Spirito di portare frutti nuovi a partire dal cuore. Questo spirito, infatti, ricorda Isaia, non dipende dai giudizi umani, basati sulle apparenze e sul sentito dire. Esso raggiunge la profondità e la verità di ogni cuore e cambia la natura delle cose. Come il leone può imparare a pascolare con il vitello e la vipera a giocare con il bambino così il violento può imparare a deporre le armi e i superbi possono imparare a prendersi cura dei poveri e dei miti della terra. Di fronte all’asserzione spavalda della violenza, come nel caso delle baby-gang, dei femminicidi, delle guerre, occorre riportare nell’arena pubblica la testimonianza di cuori miti, di parole disarmate, di persone forti ma capaci di perdono e di tenerezza. Occorre “liberare queste dimensioni dall’esilio del privato” (V. Havel) e riaffermare con coraggio che la forza dello Spirito cambia anche la società. Preparate la via del Signore e accogliete nel cuore questa grazia, proprio come Cristo ha accolto voi, dice San Paolo. Abbiate in voi i sentimenti di Cristo e poiché egli si è messo a servizio tanto dei circoncisi che dei pagani anche voi lasciate cadere le barriere e le divisioni e imparate ad incontrarvi sul terreno comune della conversione, della misericordia e della pace.