5 ottobre 2025 – XXVII domenica / c

Nel Vangelo di oggi troviamo una delle poche richieste esplicite fatte dagli apostoli al Signore. Probabilmente vedendo come Gesù esprimeva la sua fede si erano resi conto che essa è qualcosa di essenziale per vivere, qualcosa da desiderare e cercare intensamente. La risposta di Gesù, in ogni caso, è spiazzante, perché, in pratica, suggerisce che gli apostoli di fede non ne hanno nessuna in quanto ne basterebbe un granellino per fare la differenza. Essa, infatti, non è tanto un superpotere con il quale fare cose spettacolari ma piuttosto una disposizione del cuore che implica un totale decentramento. Credere significa spostare il centro dell’attenzione dai propri affari, interessi e progetti, al compimento della volontà del padre, quasi che vivessimo “non in casa nostra” ma in casa di qualcuno cui noi” apparteniamo”, come i servi in casa del loro signore.

Se vivessimo così, cercando ogni giorno e in tutte le cose di compiacere la volontà del Padre, alla fine faremmo due scoperte fondamentali. La prima è che, quando Dio riconosce che la nostra debole volontà è davvero al suo servizio nelle cose a noi possibili, egli non esita a mettere la sua grande volontà a nostro servizio nelle cose a noi impossibili, foss’anche trapiantare un albero nel mare. La seconda scoperta è che, mettendo la nostra vita al servizio del Vangelo, essa non perde nulla delle sue possibilità ma al contrario ne viene valorizzata. Ci accorgiamo, insomma, che non siamo noi a far qualcosa per Dio, il quale potrebbe fare anche da solo quelle cose che noi facciamo, ma è Dio che attraverso il nostro piccolo sforzo manifesta la sua onnipotenza, e salva la nostra vita, non in base alle nostre opere ma in base ad un suo proposito e ad una sua grazia. E il suo proposito consiste nel distruggere la morte e far risplendere in noi la vita e l’immortalità del figlio suo attraverso il Vangelo.

La fede, dunque, apre i nostri occhi circa il fatto che la vita in sé stessa non è più solo un fatto biologico ma è un miracolo. Fin da ora, infatti essa partecipa alla vita risorta ed alla immortalità del Signore. Questo è difficile da credere perché sfida l’evidenza contraria di una vita umana che rimane mortale e quindi esposta a tutte le vicissitudini della storia. Così grida il profeta Abacuc: perché non salvi? Perché io soffro e tu stai a guardare? Scrivi la profezia, dice Dio ad Abacuc, incidila su una tavola indelebile, scrivi in modo chiaro che si legga senza difficoltà, se tarda a realizzarsi aspettala e proclama: il giusto vivrà per la sua fede, mentre chi cerca la vita per sé stesso perirà.

Perché la vita e la morte non dipendono dalle circostanze esterne ma dalla disposizione a credere oppure da quella distorsione del cuore che porta l’uomo a fidarsi di sé stesso. Me fidarsi di Dio significa vivere come un albero pianato nel mare che riceve la vita non più dalla terra ma dal cielo. Il giusto che rinuncia a mettere radici in questo mondo, può anche soffrire, può anche sentirsi a volte in una situazione paradossale e umanamente insicura, rispetto al mondo, eppure se cerca la vita dal cielo la riceverà, in un modo che rimane incomprensibile al mondo e nascosto. La vita che viene dalla fede, infatti, non è solo il compimento di una promessa futura, che comunque supererà ogni immaginazione o possibilità umana, ma anche il frutto dell’attesa di quel compimento. In questa attesa, infatti, ricorda San Paolo, tu ricevi non uno spirito di timidezza, uno spirito incapace di testimonianza, incapace di sostenere la vita, ma uno spirito di forza, di amore e di discernimento.

La fede, insomma, nell’attesa di un compimento, sostiene una vita libera dalla vergogna che esprime tutte le nostre debolezze, dalla paura che segnala le nostre schiavitù e dall’indurimento del cuore che è la tendenza a vivere per sé stessi, concentrati sul proprio ombelico, lamentosi e insoddisfatti. La fede è il costante, paradossale richiamo al fatto che viviamo come alberi strappati alla terra e ancorati al cielo e che attendiamo niente di meno che la vita e l’immortalità del figlio di Dio. Poiché dimentichiamo questa vocazione e questo destino ogni giorno la Parola di Dio fa di nuovo appello alla nostra fede: se oggi ascoltate la sua voce, non indurite i vostri cuori.