Domenica 28 settembre 2025 – XXVI domenica / c

Il Vangelo di oggi mette in luce come, fondamentalmente, alla base di tutte le ingiustizie e gli squilibri economici e sociali vi sia una indifferenza del cuore così impenetrabile da rendere l’uomo meno sensibile dei cani che leccano le ferite di Lazzaro. Questo può valere anche per persone religiose. Come è possibile, dice il profeta Amos, cantare i salmi di Davide su letti d’avorio e non vedere la sofferenza del povero? Sullo sfondo di questa drammatica situazione il vangelo offre comunque un messaggio di speranza. L’annuncio, cioè, che sia il cuore indurito dai piaceri come il cuore ferito dalle sofferenze può essere raggiunto dalla grazia. Il racconto, dunque, non parla tanto del destino dopo la morte, paradiso e inferno, anche perché Dio è totalmente assente dalla scena. Esso sembra piuttosto mettere in luce come la fede fin da ora può trasformare la vita delle persone e delle comunità.

Afferra la vita eterna, dirà Paolo a Timoteo. Credi, cioè, che essa è una grazia che ti raggiunge nel qui ed ora e che essa opera come una sorta di corda lanciata dal cielo, per tirarci fuori da una vita ristretta, che non riesce a vedere al di fuori della porta di casa, cioè al di fuori del cerchio ristretto del proprio comodo, e che proprio per questo rischia di richiudersi sempre di più in uno spazio fatto di non senso e di vuoto. La morte di Lazzaro allora non va intesa come un evento fisico anche perché di fatto Lazzaro non viene sepolto ma portato nel seno di Abramo. Essa descrive piuttosto come per la fede Lazzaro sperimenta un cambiamento radicale nella sua vita per cui mentre prima cercava di saziarsi delle briciole della tavola del ricco adesso riposa nel seno di Abramo, scopre cioè che ogni sua sofferenza fin da ora è accompagnata dalla sua consolazione.

Anche la morte e la sepoltura dell’uomo ricco non sono un evento fisico, ma un passaggio ad una nuova consapevolezza circa la sua vera condizione esistenziale. Tormentato dalla sete, il ricco, di fatto, diventa più buono, aprendo gli occhi sulla presenza di quel Lazzaro che aveva a lungo ignorato e mostrando sollecitudine per la salvezza di quelli della sua casa. La sua morte, paradossalmente, descrive il suo prendere consapevolezza del pericolo grave di assuefarsi talmente ad una vita comoda e ad un benessere anestetizzante da non rendersi conto che, proprio quelle cose che sembravano soddisfare, perseguite egoisticamente, finiscono per costruire attorno a noi un monumento sepolcrale, che rende il cuore prigioniero e irraggiungibile. La parabola ricorda che l’abisso tra chi vive di fede e chi si è lasciato irretire dalle seduzioni del mondo sarebbe di per sé incolmabile. Nessun uomo a quel punto può salvarne un altro. Nessun profeta potrebbe distoglierlo dalla sua condizione di isolamento e di morte.

Ma proprio questo stato delle cose evidenzia la portata del Vangelo: colui che abita una luce inaccessibile, dice San Paolo, e che rimarrebbe per noi inavvicinabile nella sua gloria, ha fatto quello che Abramo e Lazzaro non potevano fare. Ha mandato nel mondo il figlio del suo seno perché facesse davanti a Pilato la sua bella professione di fede. Perché accettasse di morire per tutti per poter a tutti annunciare la grazia della conversione, la possibilità di un attraversamento di quell’abisso del cuore che altrimenti ci lascerebbe prigionieri e irraggiungibili nella nostra solitudine. Ma questo attraversamento, questa conversione, non è la magia di un momento, ma un combattimento. Combatti la buona battaglia della fede, dice Paolo a Timoteo. Chiunque vuole afferrare la vita eterna per passare dalla vita morta del mondo alla vita risorta del cielo deve pensare ad un combattimento e non ad una passeggiata per un’apericena. Il combattimento sarà per il ricco quello di staccarsi dalle cose che lo rendono cieco alla sofferenza altrui e insensibile, consapevole che ogni gioia mondana può facilmente tramutarsi in amarezza. Per Lazzaro sarà quello di affrontare in piedi la sua condizione senza mai dubitare che ogni sofferenza immancabilmente porta con sé la sua consolazione. Paolo parla di questo duplice combattimento quando dice: impara a fuggire le cose del mondo e a perseguire quelle del cielo: la giustizia, la fede, l’amore, la mitezza.