10 agosto 2025 – domenica 19 / c
Il messaggio centrale della parola di Dio di quest’oggi potrebbe riassumersi in questi termini: La vita è tutta la realtà non sono espressione del caso e nemmeno semplicemente una costruzione solo umana. Esse sono piuttosto lo spazio in cui Dio desidera realizzare una sua promessa. Il libro della Sapienza parla di una notte, di liberazione preannunciata al popolo perché non si scoraggiasse nel suo esilio ma attendesse con fiducia la salvezza dei giusti. La lettera agli ebrei parla dei patriarchi che vissero come pellegrini e stranieri in questa terra perché attendevano da Dio una patria nei cieli. Finalmente Gesù, rivolgendosi allo sparuto gruppo dei primi discepoli dice loro: Non temere, piccolo gregge, perché è piaciuto al Padre vostro di darvi il suo Regno.
Certo le circostanze immediate possono a volte apparire contrarie a queste promesse, condizionate dalla sofferenza, dal fallimento e dalla morte. Eppure, i nostri padri nella fede non si scoraggiarono di fronte alle difficoltà della vita e pur non avendo ottenuto i beni promessi immediatamente “li salutarono da lontano”, fermi nella loro speranza. Altre volte le circostanze della vita possono essere marcate dal successo. Eppure, anche in questo caso la fede invita a guardare oltre le realizzazioni immediate. Abramo, pur avendo ottenuto il figlio che tanto aveva desiderato, non esitò ad offrirlo in sacrificio, sicuro che Dio era capace di tirare la vita dalla morte, cioè di realizzare le sue promesse in termini che superano le umane possibilità.
Questo sguardo sulla realtà, che penetra oltre ogni evidenza materiale, può essere acquisito solo per mezzo della fede, che la lettera agli ebrei definisce come fondamento di ciò che ancora non si possiede e prova di ciò che ancora non si vede. In questa prospettiva vivere senza fede, cioè solo in base a ciò che si possiede e a ciò che si vede, significa accontentarsi di molto poco. La fede, infatti, spinge a cercare un fondamento più duraturo delle precarie sicurezze umane. Essa spinge ad andare oltre il cerchio ristretto delle proprie comodità. E soprattutto essa spinge a desiderare cose migliori delle proprie soddisfazioni immediate. È in vista dell’acquisizione di questa fede che Gesù invita i suoi discepoli a non temere per il fatto che si ritrovano nel mondo come un gregge sparuto, esposto a mille pericoli. La certezza che proprio a loro il Padre ha promesso il suo Regno deve spingerli ad usare delle cose che possiedono per fare del bene, senza mai attaccare ad esse il loro cuore che invece è fatto per amare cose più preziose e incorruttibili. Non cercate nella vita, continua Gesù, i vostri comodi o i vostri interessi, ma considerate sempre quale sia la vostra responsabilità presente.
Siate, insomma, premurosi e servizievoli verso tutti ad imitazione del padrone di casa che al suo ritorno non disdegna di far sedere a tavola i suoi servi e di mettersi a sua volta al loro servizio. La domanda di Pietro se tali promesse valessero per tutti o solo per i discepoli più intimi, dà a Gesù l’occasione di chiarire che la fede non è il privilegio di pochi. In effetti per vivere di fede non occorre avere grandi conoscenze o competenze particolare. Il servo fedele, chiarisce Gesù, è chiunque faccia responsabilmente il suo compito quotidiano. Non solo quando si tratta di fare qualcosa per il padrone di casa, ma anche quando occorre prendersi cura dei conservi. Non solo nelle cose importanti ma anche nelle cose più ordinarie, come potrebbe essere distribuire la razione di cibo a quelli di casa. Non solo quando se ne ha voglia ma, puntualmente, al tempo prescritto. Fedele è colui che persevera a lungo nella sua fedeltà, senza mai cedere alla falsa impressione che l’assenza del padrone sia un irrimediabile ritardo. Al contrario tale assenza fa maturare la fede che deve dare fondamento a ciò che non si vede e che ancora non si possiede. Per la fede noi siamo salvati.