23 marzo 2025 III domenica di Quaresima / c

Il tempo di quaresima è un sacramentale del nostro cammino di conversione, in quanto rievoca l’esodo di Israele dalla schiavitù dell’Egitto alla libertà della terra promessa. Quando Paolo dice che tutti furono battezzati in Mosè nella nube, tutti mangiarono di un cibo spirituale e tutti bevvero ad una bevanda spirituale, in quel tutti include anche noi. Le cose che accaddero agli israeliti nel deserto come esempio, infatti, sono state scritte proprio per noi.

La quaresima, dunque, non è solo un rito o un richiamo esteriore all’esodo ma una vera partecipazione a quella grazia invisibile che gli israeliti avevano sperimentato. Anzi sono gli Israeliti che partecipavano anticipatamente alla grazia data a noi dal cammino quaresimale in quanto già allora essi, ricorda San Paolo, bevevano ad una roccia spirituale che era il Cristo. È lui, ieri e oggi, colui al quale tutti, buoni e cattivi, possiamo attingere per sostenere il nostro cammino e dissetarci proprio laddove ci sembra non ci sia acqua fino alla vittoria sul male e sulla morte.

Non è ovvio, tuttavia, che una roccia possa dare acqua. Le obiezioni poste a Gesù nel Vangelo dalla gente che lo circondava sono quelle che affiorano nel cuore di chiunque cerca un segno della presenza di Dio nella sua storia. L’incidente dei Galilei, il cui sangue è stato mescolato con il sangue dei loro sacrifici, a spregio della loro pietà e della loro fede, non suggerisce che la violenza e la forza del potere alla fine prevalgono su ogni preghiera e su ogni fiducia in Dio? Gesù risponde evitando la facile spiegazione: hanno sofferto perché hanno peccato. Anzi sfida lo scandalo della fede rincarando la dose: L’incidente della torre non dice che la vita è comunque esposta al caso, alla sfortuna, alle mille sofferenze che ci cadono addosso inspiegabilmente? Quindi obietta a questa visione con la parabola del fico infruttuoso con la quale ricorda che nei fatti della vita non c’è innanzitutto un giudizio di Dio che condanna il male, ma una sua azione provvidenziale che cerca di tirare il bene dalla nostra vita come l’agricoltore cerca i frutti dall’albero.

In tale prospettiva Colui che ci chiama a conversione è il primo che si lascia “convertire” alla pazienza da uno strano operaio, disposto a volgere la sua fatica non solo alla vigna intera ma anche ad un singolo alberello. Questa pazienza suggerisce che la ragione per cui Dio si prende cura del mondo non e’ solo la felicita dell’umanità intera ma la felicita di ogni singolo suo figlio. Il frutto è il compimento dell’albero come la felicita e’ il compimento della tua vita. Gesù è tanto appassionato alla vita degli uomini tutti, quanto lo è della tua unica e insostituibile vita. Nessuno per Dio è meno importante di tutti gli altri messi insieme. Questo amore di Cristo, questa sua cura per ogni singolo “io” è la ragione fondamentale per amare noi stessi e quindi per amare gli altri e la vita. E’ il primo segno che cominciamo ad amare noi stessi e’ proprio il desiderio di convertirci, di crescere, di diventare migliori.

Il desiderio della conversione nasce dalla consapevolezza che ogni mio piccolo sforzo e’ sostenuto da una grazia che tende a massimizzarne gli effetti a rendermi fruttuoso. Non siamo gettati nell’esistenza per caso, per sopravvivere, per “consumare il terreno” – direbbe la parabola. Siamo gettati nell’esistenza in vista di un frutto che esprime un’opera di Dio che non è estrinseca alla nostra persona ma che corrisponde esattamente alle nostre potenzialità e possibilità, come il frutto corrisponde all’albero. Ma come la grazia di Cristo raggiunge concretamente la mia vita? Come il concime raggiunge l’albero. Discretamente e segretamente, umilmente e in sinergia con la mia disponibilità ad accoglierla.

Gesù non poteva usare un’immagine più umile per descrivere l’efficacia della sua passione, paragonandosi al fattore che dopo tre anni di lavoro tenta un ultimo ed estremo intervento per dare vita a questo alberello. Noi normalmente non ci accorgiamo di questa grazia umile. Gli israeliti non si accorgevano della roccia spirituale che li accompagnava come Mosè non si accorge subito che nel misero roveto che gli sta davanti c’è un fuoco divino che arde senza consumare, che ogni dettaglio della vita anche il più misero e’ abitato da un fuoco che dovrebbe consumarlo e invece lo preserva. Togliersi i sandali significa vivere la conversione come passaggio dalla curiosità di colui che vuole controllare la vita allo stupore di chi vi riconosce il mistero. Quando riconosciamo che nella vita non c’è solo la nostra iniziativa ma la presenza del mistero ci convertiamo, ricorda Papa Francesco nel suo messaggio quaresimale, dalla ricerca della soddisfazione di chi si limita a consumare il terreno su cui vive al cammino, al desiderio di crescere; dall’individualismo alla comunione che cerca non tanto di dare spiegazione della sofferenza ma di darle una risposta attenta e concreta ed alla speranza nella resurrezione che e’ il frutto maturo di ogni vita vissuta bene. Se non ci convertiamo, ricorda Gesù, non rimane davanti a noi un’amara constatazione senza speranza. Tutti moriremo comunque.