Domenica 27 ottobre 2024 – XXX / B
Il Vangelo di oggi descrive una situazione singolare. Da un lato vi è Bartimeo, un cieco seduto a mendicare lungo la strada, il quale, pur non vedendoci, sente che passa Gesù di Nazareth e pieno di speranza si mette ostinatamente a gridare: Figlio di Davide abbi pietà di me. Egli, cieco, vede perfettamente chi è Gesù e cosa può fare per lui. Dall’altro lato vi è una grande folla di discepoli che accompagna Gesù e che, pur vedendoci perfettamente, non vede quello che vede Bartimeo e nemmeno la sua sofferenza. Anzi, questa folla è addirittura infastidita dal suo gridare e cerca di farlo tacere. Questa folla non ha perso la vista ma ha perso il cuore e quindi si può dire che anch’essa è affetta da una sorta di cecità perché alla fine l’uomo vede veramente solo quello che ama.
Dove è il sentimento lì e lo sguardo. Dove è il cuore lì è l’occhio. Quanta capacità di amare c’è nel cuore, tanta capacità di vedere, capire e intervenire vi sarà nell’intelligenza e nella volontà dell’uomo. Non e’ forse vero che l’evoluzione delle cose a livello economico, sociale, politico e familiare troppo spesso erode i sentimenti e incoraggia l’indifferenza, se non proprio la conflittualità? Lo sottolinea Papa Francesco nella sua ultima enciclica. Questo spiega perché sia così urgente riascoltare questo Vangelo: passa Gesù di Nazareth.
Celebrare la missione, allora, significa rimettere al centro della nostra attenzione il bisogno che tutti abbiamo che la nostra vita, che il nostro cuore, che la nostra storia siano salvate. Siamo noi quelli che la lettera agli ebrei descrive come “coloro che vivono nell’ignoranza e nell’inganno, circondati di debolezza”. Vivere nell’ignoranza e nell’inganno equivale a vivere nella cecità. Ritrovarsi circondati di debolezza significa che nessuno può cambiare veramente sé stesso. Potremmo guardarci intorno e non trovare nulla più forte della nostra debolezza, del nostro egoismo e della nostra indifferenza, se il figlio di Dio non avesse voluto prenderla su di sé e aprire un cammino di salvezza, come dice Isaia, per lo zoppo e il cieco, per la donna incinta e per la partoriente. Per tutte le persone che non ce la fanno ad andare avanti, che non possono farcela da soli.
Altri, come la folla che segue Gesù, forse sentono meno drammaticamente questo bisogno. Solo quando ci accorgiamo che il dolore, magari nascosto del nostro cuore e la nostra debolezza superano le nostre forze, solo allora, come Bartimeo cominciamo a gridare, per ottenere l’aiuto di uno più forte di noi: figlio di Davide abbi pietà di me. Ma finché non vediamo la nostra debolezza, rimaniamo nella nostra cecità e non capiamo l’importanza di questo passaggio di Gesù nella nostra vita. In tal senso Dio è il primo missionario. Colui che esce da sé stesso e ci viene incontro per dire a ciascuno ciò che egli dice a Gesù: “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato”.
È la salvezza offerta sia a chi grida come Bartimeo perché ha perso la vista, sia a chi vorrebbe mettere a tacere il suo grido, come la folla che “ha perso il cuore”. E Gesù di fatto nel Vangelo non ridona la vista solo a Bartimeo ma anche alla folla. Guarisce la folla affidando ad essa una missione nei confronti di chi era ancora più debole di loro: chiamatelo. Così anche la folla comincia a vederci e diventa strumento di salvezza per il povero Bartimeo: coraggio, risorgi, ti chiama. È questa, in fondo, la missione che Dio affida a ciascuno di noi. Aprire gli occhi sul dolore del mondo e annunciare a tutti che passa Gesù di Nazareth. Egli vive e ci chiama a seguirlo lungo un cammino di resurrezione altrimenti impossibile alle nostre forze. Ma la resurrezione comincia dal ritrovare il cuore, dal rimettere l’amore al centro della nostra vita e delle nostre relazioni e quindi in fondo dal ricominciare a prenderci cura gli uni degli altri e in particolare del più povero e del più debole.