11 agosto 2024 – XIX domenica anno B
Il racconto del libro dei re descrive un momento decisivo nella vita del profeta Elia. Dopo aver coraggiosamente combattuto e prevalso contro 400 profeti di Baal, Elia si ritrova stanco e impaurito nel deserto, in fuga dalla regina Gezabele e desideroso di morire. La sua situazione ricorda quella di chi spende tante energie per un ideale, per un obiettivo o per un lavoro qualsiasi, per poi accorgersi che tutto quello che ha fatto non è risolutivo e che, anzi, fondamentalmente lo delude. A questo punto uno può arrendersi alla propria inadeguatezza e rinchiudersi nello scoraggiamento, nella noia o anche solo nella rassegnazione. Oppure uno si accorge che proprio da quella delusione emerge il richiamo a cercare una vita più profonda, più duratura, più abbondante. E a partire da questo richiamo uno si dispone a rimettersi in cammino, a intraprendere una sorta di secondo viaggio della vita, la cui metà però non è più solo proporzionata ai propri sforzi o capacità.
Il profeta Elia si addormenta e viene per due volte raggiunto da un Angelo che gli propone un cammino verso il monte di Dio che non potrebbe mai compiere con le sole sue forze. L’angelo non lo cambia magicamente, tuttavia. Lo sveglia toccandolo, raggiungendolo cioè nella sua umanità e gli mette a disposizione un pane cotto e una giara di acqua. In questo incontro tra l’umanità del profeta e la profondità del mistero divino si gioca il dinamismo della fede. Elia potrebbe dubitare che quel poco pane e quella poca acqua possano bastare e invece si mette fiduciosamente in cammino e camminando scopre di essere sostenuto da una forza che non viene da lui stesso.
È proprio questa la sfida della fede che Gesù pone ai suoi ascoltatori quando preannuncia il mistero dell’eucaristia e dice: io sono pane vivo che scende dal cielo. La mormorazione dei Giudei, d’altro canto, segnala la loro difficoltà a credere, che quello che Gesù offre e che a loro sembra “troppo poco” possa veramente bastare a metterli in cammino. Essi non riescono a credere che quel Gesù di cui conoscono il padre e la madre e che quindi condivide in tutto quella vita terrena inadeguata di cui hanno esperienza, possa donare una vita che viene dal cielo. Gesù risponde con una ammonizione perentoria: non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a me se il padre che mi ha mandato non lo attira. Ed io lo risusciterò, lo condurrò lungo un cammino che conosce l’uscita dal sepolcro. Tutte le scritture, le profezie, le ispirazioni, conclude Gesù, conducono a me. Io sono il pane di vita.
Praticamente Gesù sta dicendo che dopo l’incarnazione e quindi dopo il suo farsi presente nella storia e nella realtà umana, Dio stesso e non un Angelo come nel caso di Elia, ha toccato e scosso dal sonno la nostra umanità. Il padre, cioè, di sua iniziativa, inviando a noi dal cielo il figlio perché metta la sua stessa vita a nostra disposizione, pone nella nostra realtà di ogni giorno un’attrazione. Ma è un’attrattiva che interpella la fede e non la curiosità o la sola intelligenza umana. Proprio perché questa attrattiva si nasconde nel nostro vissuto quotidiano come si nascondeva nell’umanità di Cristo essa può essere disprezzata o resistita. Se, invece, accogliamo con gratitudine e con responsabilità la realtà di ogni giorno, scopriamo in essa una forza gioiosa che nutre e sostiene e ti rimette in cammino laddove tu saresti tentato di addormentarti o fermarti.
Paolo spiega la natura di questo cammino quando dice agli efesini di camminare nell’amore come anche Cristo ci ha amato e ha dato sé stesso, la sua vita divina per noi. Camminare nell’amore di Cristo significa lasciarsi attrarre dalla sua umanità profonda che era caratterizzata dalla benevolenza, dalla misericordia e dal dono di sé. Seguendo questa attrattiva, continua San paolo, noi diventiamo imitatori di Dio, partecipiamo alla natura divina, alla vita eterna che si fa presente nella vita quotidiana come era presente nell’umanità di Cristo. Al contrario, se rattristiamo lo Spirito Santo, cioè se resistiamo a questa attrattiva che ci fa diventare imitatore di Dio, diventiamo, sempre più inconsapevolmente, imitatori della vita animale, di una vita istintuale, che ci rende schiavi della tristezza e della rabbia, di amarezze, urla e maldicenze.
Paradossalmente resistiamo all’attrattiva dello Spirito non perché siamo deboli ma perché siamo soddisfatti di una vita inadeguata. Guardate a Dio e sarete raggianti, prega il salmo, i vostri volti non dovranno arrossire. Il Padre attira tutti verso la sua vita che ci fa passare dalla vergogna alla gloria. Tutti sono attratti ma non tutti credono all’invito perché misurano soltanto la loro inadeguatezza e rimangono nella mormorazione. È per la fede che cominci ad accorgerti che laddove la tua vita ti delude, laddove il tuo volto deve arrossire, proprio lì, il Padre pone un richiamo, un’attrattiva a cercare qualcosa di più e di meglio che viene dal cielo.