Domenica 28 luglio 2024 – 17/b
Il Vangelo di Giovanni colloca la moltiplicazione dei pani all’interno di coordinate spazio-temporali significative. Gesù sta salendo dal mare di galilea verso la montagna e si sta avvicinando la festa di Pasqua. Ciò che fa dunque diventa un segno eloquente del suo salire al padre e del suo aprire un passaggio per noi dalla vita di questo mondo, alla vita eterna. Eterna non perché futura ma perché inesauribile e quindi la sola capace di saziare. Prima di agire, tuttavia, Gesù rivolge a Filippo una domanda che ha lo scopo di metterlo alla prova, cioè di risvegliare nel suo cuore uno sguardo di fede che gli permetta di cogliere la dimensione del mistero che si cela dietro quello che sta per accadere.
Filippo e gli altri discepoli, proprio come i discepoli di Eliseo nel racconto del libro dei Re, osservando la folla non pensano innanzitutto alla possibilità di fare qualcosa bensì misurano la sproporzione tra ciò di cui la folla avrebbe bisogno e ciò che le circostanze possono offrire. Tra ciò che eventualmente si potrebbe anche cercare di fare – comprare 200 denari di pane – e ciò che si riuscirebbe umanamente ad ottenere: darne solo un pezzetto a ciascuno. Il loro sguardo sulla realtà riflette la percezione realistica che noi tutti abbiamo delle cose. Non importa quanti sforzi possiamo fare per noi stessi e per gli altri, per venire incontro ai bisogni dell’uomo non c’è nulla che potrà togliere dal nostro cuore il desiderio di qualcosa di più o di qualcosa di meglio. Il desiderio di bene e di felicità dell’uomo è inesauribile e non può trovare in questo mondo un compimento stabile.
Ci affanniamo e diventiamo facilmente ansiosi senza mai mettere a fuoco una verità centrale dell’esistenza: che da soli non riusciamo a trovare né il riposo né la sazietà. È questa consapevolezza che Gesù vorrebbe risvegliare nei cuori dei discepoli. Anche lui, dunque, alza lo sguardo e vede la folla. Quindi, senza che nessuno gli abbia chiesto nulla, in preparazione a ciò che farà per tutti con la sua Pasqua, Gesù decide di offrire a coloro che lo seguono un’esperienza di sazietà. Una sazietà che rimandi non semplicemente alle risorse umane ma a quella generosità gratuita di Dio che riecheggia nella preghiera del salmista: “Tu o Dio apri la tua mano e sazi la fame di ogni vivente”.
Gesù non ignora il fatto che non ci sono i mezzi umani sufficienti a rispondere al bisogno della situazione, anzi con la sua domanda lo porta alla luce. Egli sa non di meno che questa scarsità di mezzi non è solo un problema. Essa è anche l’occasione per risvegliare nel cuore dei presenti la consapevolezza del fatto che il poco che Dio benedice può essere più utile e prezioso del molto che noi possiamo fare e che il riposo e la sazietà dipendono dal prendere coscienza che nella realtà non operano soltanto i fattori umani ma anche l’amore del Padre. Gesù, dunque, dopo aver invitato i discepoli a far adagiare la gente e a raccogliere il poco che comunque hanno a disposizione, alza gli occhi al cielo e rende grazie al padre. Così facendo egli invita i discepoli e tutti noi ad accogliere la realtà di ogni giorno, che ci apparirà sempre e comunque inadeguata, come qualcosa da affrontare non da soli, a partire non da noi stessi e dalle nostre possibilità, ma dalla relazione filiale con il padre.
Dobbiamo certo mettere insieme i nostri cinque pani e due pesci e quindi vivere responsabilmente ogni circostanza, ma dobbiamo sempre ricordare che non è da quello che noi mettiamo insieme che può venire la sazietà e il riposo. Quello che abbiamo, tanto o poco, va offerto al Padre perché egli dia alle cose che facciamo e al nostro vivere quotidiano il sapore della vita eterna, cioè il sapore delle cose che saziano. Lo ricorda San Paolo agli efesini. La vostra vocazione è quella di partecipare alla vita del Padre in modo tale che Dio sia presente in tutti, operi attraverso tutto quello che fate e tutti possa portare all’esperienza del riposo, cioè del compimento della loro personalità, della loro storia, della loro fatica. Niente di meno può saziare il cuore umano.
Questo voleva mettere in luce Gesù quando ha spezzato il pane nel deserto, saziando tutti e portando via dodici ceste piene anch’esse fino all’orlo. La vita che viene da Dio al presente è di più di quello che noi possiamo accogliere. In tal senso il suo valore non sarà mai del tutto apprezzabile o misurabile, quasi fosse qualcosa “che avanza”. Non di meno è proprio questa vita sovrabbondante che permette al credente di camminare in questo mondo con un atteggiamento nuovo e una letizia instancabile. L’atteggiamento nuovo di chi proprio perché conosce la propria radicale mendicanza e l’impossibilità di soddisfare il proprio cuore a partire dalle sole risorse umane, si fa umile e quindi si dispone a rispondere a tutti con umiltà, gentilezza, pazienza, supportandoci a vicenda nell’amore. La letizia di chi, sentendosi figlio nel Padre, non concentra più il suo sforzo nell’affermare sé stesso ma nel cercare al contrario l’unità e la comunione nel vincolo della pace: una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio padre di tutti.