21 luglio 2024 – XV domenica anno B

Nel Vangelo di oggi Gesù chiama a sé 12 discepoli per formare un popolo nuovo sulle orme delle 12 tribù d’Israele e dà loro una missione che potrebbe suscitare tanto stupore quanto scetticismo: scacciare i demoni e curare le malattie, combattere e porre rimedio a tutto il male, sia morale che materiale, che c’è nel mondo. Per fare questo essi ricevono dallo stesso Gesù un’autorità ed una libertà che superano le possibilità umane. L’uomo può essere fragile fino al punto del suicidio, superficiale fino al punto dell’indifferenza irresponsabile, duro di cuore fino all’omicidio o addirittura al fratricidio. E questo perché egli “non è libero dal male”. Poiché il male proviene dai demoni, infatti, esso non è mai solo il risultato della cattiveria degli uomini ma anche il risultato di una schiavitù imposta dall’esterno. Quando qualcuno fa il male, cioè, non esprime soltanto la propria malizia attraverso una volontà cattiva ma anche la malizia di un demonio più forte di lui che lo seduce e lo manipola.

I discepoli, dunque, sono mandati nel mondo per testimoniare a tutti la possibilità di vivere liberi dal male e quindi realizzare quella vocazione originaria di cui parla San Paolo “di stare davanti a Dio santi ed immacolati nell’amore”. Non è infatti particolarmente utile la libertà dai mali esteriori, come le malattie o le ingiustizie sociali, senza anche una libertà interiore dal male che stravolge l’originaria vocazione dell’uomo ad essere una creatura amante. Questa liberazione, continua San Paolo, non viene dall’iniziativa umana ma da quella grazia sovrabbondante, quella benedizione divina, quell’amore creativo che costituisce il grande mistero della volontà buona del Padre manifestata nel suo Figlio Gesù. In lui vero uomo e vero Dio, la nostra libertà, la nostra dignità di figli di Dio e il nostro destino di gloria si sono pienamente realizzati. Adesso, chiunque crede in Gesù può partecipare alla stessa gloria. Chi crede in Gesù, con un semplice atto di fiducia, può riscattare ciò che Lui ci ha guadagnato con il dono della sua vita, può appropriarsi di ciò che da sempre il Padre aveva disposto per noi, può partecipare a quella libertà che la nostra volontà indebolita dal peccato non avrebbe mai potuto raggiungere.

La sfida, allora, è proprio quella di credere veramente a questo Vangelo che Gesù ha affidato ai 12. Se, infatti, la vittoria sul male si realizza per la fede anche la battaglia contro il male è fondamentalmente una battaglia della fede, indipendente da forze e strategie umane. Questo spiega perché Gesù comandi ai discepoli di non prendere nulla con sé. Essi non devono cercare appoggi in sicurezze umane ma essere sempre pronti a rimettersi in cammino e mantenersi nel ruolo di pellegrini, cioè di inviati che dipendono dall’ospitalità altrui e non da mezzi propri. Soprattutto questo spiega perché Gesù ha preannunciato ai discepoli la possibilità del rifiuto.

La libertà che essi annunciano proprio perché dipendente dalla fede può essere accettata come un dono o disprezzata come una chimera inutile. E per preservare i discepoli dalla tentazione di scoraggiarsi o di lasciarsi intimidire Gesù ordina loro con fermezza che, qualora il rifiuto fosse generalizzato e toccasse un’intera città, dovranno scuotere la polvere dai loro piedi. Essi, cioè, dovranno resistere anche alla pur minima tentazione di compromesso. Se il Vangelo viene rifiutato non devono cercare di renderlo più accettabile o appetibile con qualche aggiustamento apparentemente innocuo ma riaffermare la sua irriducibilità alla mentalità del mondo. L’esempio di Amos in tal senso è esemplare. Poiché la sua predicazione sfidava l’autorità del re, egli viene invitato a guadagnarsi il suo pane e vivere tranquillo altrove. Amos, allora, ricorda al funzionario del re che egli non è un profeta per professione o per discendenza ma in risposta ad una chiamata di Dio. L’autorità della sua predicazione, dunque, non dipende da forze umane ma dalla sua fiducia in Dio. Lui stesso può essere testimone della parola di Dio perché l’ha accolta per primo. Lo stesso vale per chiunque crede in Cristo. La nostra autorità, come per Amos, che non era nulla, tranne che pastore o coltivatore di sicomori, non dipende da titoli o risorse, da capacità o strategie umane, ma dalla nostra fiducia nel vangelo. Questa autorità liberante per sé e per gli altri è data a chi è disposto ad accoglierla e si nasconde in esistenze apparentemente così insignificanti, come quella di Amos, da poter essere disprezzata e rifiutata. Eppure, se accolta con fede, questa autorità è più grande di quella del re, più grande di quella dei demoni, più forte del male che domina il mondo e il cuore dell’uomo.