23 giugno 2024 – XII / B

Nella prima lettura troviamo Dio che rivolge la parola a Giobbe nel mezzo dell’uragano, cioè mentre ancora egli si trova nel mezzo delle sue angustie. Ma invece di consolarlo Dio sembra rivolgergli una serie di interrogativi provocatori. Essi possono tradursi più o meno in questi termini: quando l’uomo è travolto dalle circostanze della vita, come un naufrago è travolto dal mare impetuoso, davvero non c’è nessuno che può porre un limite al suo male, alla sua sofferenza, alla sua tragedia? Nessuno che abbia le chiavi per aprire e chiudere le porte del mare? le chiavi, cioè per aprire e chiudere le porte di una salvezza che si pone al di sopra delle circostanze e delle incontrollabili forze della natura? queste domande, sollevate mentre ancora Giobbe si trova nel mezzo della sua angoscia, riecheggiano nell’interrogativo che Gesù rivolge ai discepoli ancora intimoriti: perché avete paura? non avete ancora fede? Non riuscite davvero a credere che esiste una provvidenza anche nel mezzo della tempesta? Una provvidenza che non si limita a risolvere i problemi o ad eliminare i pericoli ma che educa l’uomo a stare in quei problemi e in quei pericoli con la tranquillità di chi dorme.

Questo “stare nei problemi con la tranquillità di chi dorme” implica che anche noi come i discepoli potremmo avere l’impressione che, mentre si prolungano le nostre angustie, a Dio non importi nulla della nostra salvezza. Eppure, proprio allora siamo chiamati a credere che la salvezza è già lì con noi, nella nostra barchetta esposta ai venti e quindi anche nella nostra inquietudine. E di fatto è proprio in quella grande angustia che i discepoli cominciano a conoscere Gesù non più nella carne, come dice Paolo, ma nella fede: chi è quest’uomo? Si domandano; Comanda al vento e al mare, cioè a quegli elementi che più facilmente sfuggono al controllo dell’uomo, e questi gli obbediscono. In altre parole, è proprio passando attraverso la tribolazione della tempesta che la fede dei discepoli può in un certo senso essere messa alla prova e approfondirsi: chi è veramente quest’uomo? E in fondo è proprio questa fede più profonda che Gesù vorrebbe far nascere nei nostri cuori in vista di una salvezza più piena.

Nel Vangelo di oggi si descrive una situazione abbastanza paradossale. Siamo ormai alla sera di una lunga giornata di lavoro e tutto farebbe pensare che Gesù, che poi di fatto si addormenterà stanco sulla barca, ordinasse un meritato riposo per tutti. Invece egli ordina la cosa più impensabile: passiamo all’altra riva. Non solo. L’annotazione singolare circa il fatto che i discepoli presero Gesù nella loro barca “così com’era” segnala che egli debba aver affrettato le cose ed imposto una certa urgenza. In effetti alla luce di ciò che accade durante il tragitto e del successivo miracolo appare chiaro che questo passare all’altra viva aveva un valore più che circostanziale. Doveva prefigurare per i discepoli un altro passaggio. Quello dalla vita terrena alla vita celeste, attraverso il mare pauroso della morte e ancor prima il passaggio dalla vita nella carne alla vita nella fede che ti insegna ad affrontare tutte le situazioni, in particolare tutte le interazioni, con uno spirito nuovo.

Fratelli perché uno è morto per tutti, tutti sono morti. L’amore di Cristo ci spinge perché tutti possiamo rispondere a questa chiamata a passare all’altra riva. Affinché noi non viviamo più per noi stessi ma per colui che per noi è morto e risorto. Affinché crediamo alla vita eterna. Per vivere e conoscere Gesù e gli altri, non più nella carne ma nella fede, occorre imparare a passare attraverso le tribolazioni con la fiducia di un bimbo addormentato. Per questo, continua Paolo, occorre pensare all’amore di Cristo come una realtà che ci sospinge. L’espressione non richiama solo l’idea dell’impeto di un bel sentimento che ti fa correre, ma più precisamente una realtà misteriosa che ti afferra e che ti tiene fermo mentre tutto intorno a te sembra scuotersi e affondare. In altre parole, è come se Paolo dicesse che, quando ci troviamo nel mezzo alla tempesta, portati cioè da circostanze che sembrano determinare l’esito della nostra vita, proprio allora siamo invitati a credere che ciò che realmente ci spinge è l’amore di Cristo.

È il suo amore e non il caso che guida gli eventi. È il suo amore e non le circostanze avverse che determinano l’esito finale della nostra vita. È il suo amore che ci sostiene perché solo quell’amore è in grado di farci davvero passare all’altra riva, cioè di cambiare la natura della morte, da naufragio a passaggio verso la pienezza della vita. È il suo amore che ci fa passare da uno sguardo puramente naturale ad uno sguardo di fede sulla vita che riconosce nella realtà non solo quello che accade in superficie ma anche quello che Dio crea in profondità. Una “nuova creazione” che fin da ora partecipa alla vita risorta di Cristo e quindi alla sua libertà dalla paura che ci rende liberi di amare con generosità e di vivere tutto con la tranquillità di un bimbo che dorme affidato all’amore di chi se ne prende cura.