12 Maggio 2024 – Ascensione/ B

Quando Gesù risorto si tratteneva per 40 giorno con i discepoli quest’ultimi inevitabilmente si domandavano se non fosse ormai giunto il compimento del Regno di Dio. In effetti prima dell’ascensione non era ancora possibile per essi immaginare uno spazio diverso da quello di questo mondo in cui ogni cosa possa trovare il suo compimento e gli uomini vivere in pienezza. L’ascensione rappresenta allora l’apertura di un passaggio verso un mondo diverso da quello della terra, un mondo che prima era assolutamente irraggiungibile. Nessuno è salito al cielo prima che Gesù ne discendesse e nessuno è escluso da esso dopo che Gesù è asceso al cielo. Colui, infatti, che è asceso al cielo è un uomo che come noi è nato da donna ed è lo stesso uomo che ha sofferto ed è morto come ogni uomo e quindi ogni uomo può seguirlo nel suo destino.

L’ascensione allora E’ UN INVITO A CREDERE al fatto che ogni uomo ha un destino più alto di quello segnato dalle circostanze storiche in cui vive, ma questo senza distogliere lo sguardo dalla vita “reale”; camminate su questa terra – dirà San Paolo – ma in maniera degna della vocazione ricevuta, cioè in maniera degna della vita del cielo. La cosa più commovente in tutto ciò è che questa vocazione a condividere la vita del cielo sia rivolta per la fede a tutti, anche alle persone meno adatte o meno degne. Significativamente il Vangelo ci presenta il risorto che appare agli 11, cioè ad una comunità ferita dal tradimento. I discepoli non sono più 12 ma 11 e non sono nemmeno indicati come discepoli. Sono un numero e non più un gruppo con una propria identità spirituale. Di fatto rimangono prigionieri delle loro paure e vengono rimproverati da Gesù per la loro incredulità.

Eppure, proprio per questo San Paolo può dire che, ascendendo al cielo, Gesù porta con sé dei prigionieri e distribuisce dei doni agli uomini. Quasi a sottolineare il fatto che i discepoli, nonostante la loro incredulità, diventano amministratori di una grazia sovrabbondante per tutti gli uomini. Una grazia che è data non secondo i loro meriti ma secondo il dono di Cristo. Ma non bisogna pensare tuttavia ad un cambio magico nella natura delle cose. In tal senso Paolo precisa che colui che ascese è lo stesso che anche discese, lo stesso cioè che ha condiviso pienamente la nostra natura per renderla capace anch’essa di un’ascesa, cioè di un cammino di crescita che ha per misura la piena maturità di Cristo. Questa piena maturità, precisa San Paolo, non consiste nell’acquisizione di una natura angelica ma propriamente nel conseguimento dello stato di uomo perfetto, nella piena umanizzazione della nostra natura che, essendo ferita dal peccato, rimarrebbe altrimenti inadeguata soprattutto per quanto riguarda la capacità di amare.

La chiesa, conclude San Paolo, fondata sugli apostoli, i profeti ed altri ministeri, diventa così la realizzazione del corpo di Cristo nella storia. Essa manifesta la sua connessione con la potenza di Cristo, asceso alla destra del padre, soprattutto con la realizzazione di quell’unità e quindi di quell’amore reciproco che superano ogni possibilità puramente naturale. Comportatevi con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.

Dal canto suo Marco, nel Vangelo, descrive questo “potenziamento” della natura umana parlando di Gesù che agisce insieme ai suoi discepoli sulla terra e conferma la loro parola con i segni propri della fede: la vittoria sui demoni, l’apprendimento di lingue nuove che universalizza il messaggio evangelico, un modo nuovo di affrontare e vivere le ostilità, i pericoli e le malattie. È questo il frutto dell’ascensione di Gesù al cielo. La partecipazione alla vita divina da parte di noi semplici creature umane. Agganciando il suo cuore alla speranza che Cristo risorto offre ognuno può trovare un riflesso del cielo nel lavoro ripetitivo di ogni giorno o nello sguardo apparentemente distratto della moglie o dei figli. Dopo l’ascensione la realtà umana che in sé stessa rimarrebbe per sempre sottomessa ai demoni, alla dispersione delle lingue, ai pericoli rappresentati dai serpenti e dai veleni ed alle malattie ritrova la sua direzione, il suo orientamento, la sua speranza più vera: divenire segno del regno di Dio, più forte del caso, del caos o addirittura del peccato.