31 dicembre 2023 – Santa famiglia – anno B

Il racconto della genesi ci ricorda come la storia di salvezza realizzata da Dio comincia da una famiglia. Da una singola coppia, Dio si costituisce un popolo numeroso come le stelle del cielo e la sabbia del mare, una moltitudine che non si può contare. La realtà sottesa a questa promessa non è semplicemente quella della fecondità ma più profondamente quella, ad essa connessa, della partecipazione alla vita di Dio che per sua natura è sovrabbondante. Non solo perché oltrepassa le generazioni ma anche perché alla fine oltrepassa la morte. La promessa di una discendenza che non si può contare come le stelle del cielo troverà il suo compimento nell’apocalisse dove si legge dei rendenti che vestiti di bianco seguono l’agnello e che non si possono contare.

E perché fosse evidente fin dall’inizio che il dono di questa promessa supera ogni umana possibilità ed attesa, Dio la affida ad un vecchio già segnato dalla morte e da una donna sterile. La affida, inoltre, ad una famiglia perché fosse pure evidente fin dall’inizio che essa si realizza soltanto nella comunione. Nella famiglia, infatti, la persona non esiste come individuo ma sempre in relazione agli altri. Nella famiglia sei figlio o madre, sposo o fratello o sorella. Sei definito non solo dalla tua individualità ma anche dalla tua relazione con gli altri. In questo senso la famiglia è il primo baluardo contro quel dinamismo esattamente opposto che chiamiamo peccato e che conduce all’affermazione unilaterale dell’io, all’individualismo, all’egoismo, all’isolamento, alla divisione.

C’è un dettaglio particolare nel Vangelo di Luca che parla della presentazione di Gesù al tempio da parte di Maria e Giuseppe come l’occasione per “la loro purificazione”. Legalmente sarebbe stata soltanto la donna a doversi purificare. Evidentemente Luca sta pensando ad una purificazione che non è soltanto legale ma tocca la relazione tra Maria e Giuseppe. Essa è purificata dalla loro comunione nell’affidarsi al progetto di salvezza che Dio ha sull’umanità, una comunione che probabilmente si è realizzata attraverso un cammino a volte anche faticoso fatto di dubbi, insicurezze, contraddizioni da affrontare. Questa comunione, che sola può accogliere la salvezza e realizzare la pienezza della vita e che nella famiglia ha la sua origine, non è un dato di fatto. Essa comincia con una purificazione a livello profondo del cuore che deve lasciarsi illuminare dalla luce del Natale, dal mistero del Dio con noi. È in questa prospettiva che si comprende la profezia del vecchio Simeone che proclama la nascita di Gesù come una luce che illumina il cuore di ogni uomo e le sue contraddizioni più intime.

È solo dinanzi a questa luce donata al mondo con il Natale che si svela se il cuore di un uomo è abitato da una vita solo mortale oppure se ha ricevuto il germe di una vita risorta. Se la sua vita rimane vittima della divisione, dell’ostilità, della competizione oppure se è capace di generare comunione. E il Vangelo del Natale ci ricorda continuamente che, se esiste una divisione, essa non è fuori di noi, nella diversità di condizioni o di provenienza, ma nel nostro cuore. Li moriamo o risorgiamo. Nel nostro cuore resistiamo al dono di Dio e quindi perdiamo fondamentalmente il senso della fratellanza, dell’essere famiglia; oppure ci apriamo alla promessa di vita eterna e diventiamo persone di comunione, figli di Dio e quindi di un unico Padre che ci chiama a condividere la sua vita oltre la morte. La presentazione al tempio di Gesù è l’occasione per mettere in luce come il valore e la vocazione della famiglia non è esaurito dal legame tra genitori e figli. Anna, incontrando il bambino Gesù al tempio, dopo lunghi anni di vedovanza e presumibilmente, la privazione di figli, rappresenta ogni “famiglia ferita” che può ritrovare nella fede la sua ragione di essere e la forza di perseverare al di là di ogni sofferenza.

Simeone, che attende ormai solo la morte, rappresenta la “famiglia estesa” in cui nessuno dovrebbe mai sentirsi troppo vecchio o troppo inutile e in cui l’esperienza dell’anziano o anche addirittura del “morente”, è provvidenzialmente necessaria per mantenere lo sguardo orientato a un destino che va oltre la morte. La vita in famiglia può certo essere difficile, deludente, drammatica. Il Vangelo del Natale ci ricorda che Gesù è venuto in una famiglia per testimoniare al mondo che essa non custodisce la morte, ma la resurrezione. Non la vita “senza la morte” ma la vita che nasce dalla morte. Anche se le circostanze possono contraddire questa promessa. La fede di Abramo raggiunge la sua maturità quando accetta di sacrificare il figlio della promessa perché aveva fiducia che Dio poteva richiamarlo alla vita anche dai morti. Come Abramo allora occorre imparare a guardare il cielo e a contare le stelle. La famiglia non è solo per la vita nascente ma anche per la vita eterna. Essa ha una vocazione sociale e spirituale che garantisce il futuro di tutto un popolo e la preservazione della dimensione trascendente della vita che altrimenti rischia inevitabilmente di essere banalizzata e calpestata. Il nostro secolo ha ascoltato in papa Giovanni l’invito a dare “una carezza ai propri figli” e in papa Francesco l’invito complementare a “dare una carezza ai propri nonni”. Forse è proprio lì la chiave per ritrovare il valore della persona, il valore della società e il valore della creazione: ripartire dalla famiglia.