Domenica 3 dicembre 2023 – I di avvento/b

Per comprendere il monito di Gesù alla veglia e all’attesa, occorre comprendere che cosa significhi vivere addormentati. In tal senso è illuminante la preghiera di Isaia. In essa il profeta chiede a Dio di “strappare il cielo” quasi che siano stati gli uomini stessi a chiuderlo. Sono essi, infatti, che hanno cessato di scrutare il cielo ed hanno “escluso” Dio dalle loro attese allontanandosi dalle sue vie. Ci si allontana dalle vie del Signore perché fondamentalmente si smette di credere che camminando in esse ci sia la possibilità reale che Dio ci possa venirci incontro. Che Dio sia interessato a camminare con noi sotto il nostro cielo. Il popolo di Israele è addormentato perché è un popolo che ha il cuore indurito, incapace di sperimentare il timore del Signore. Il timore del Signore non è poca cosa. Concretamente esso esprime il timore del far del male. E se uno non ha paura di far del male vuol dire che è capace di qualsiasi cosa e che prima o poi farà molto male, senza nemmeno forse rendersene pienamente conto. Perfino i loro atti di giustizia, dice Isaia, sono così ambigui, interessati, meschini da poter essere paragonati ad un panno sporco, immondo.

Un popolo addormentato è un popolo incapace di stabilità, di perseveranza, di impegnarsi in cose che richiedono pazienza, tempo, gradualità e la fedeltà “al proprio compito”. Sono come foglie portate dal vento, conclude Isaia, e non si scuotono, non si svegliano per aggrapparsi a Dio, per cercare una forza che non è la loro e che è più grande della loro. Questa debolezza mortale, questa instabilità che ti rende prigioniero delle tue voglie, dei tuoi sentimentalismi, di emozioni passeggere che non maturano mai nell’amore, questo vuoto interiore che è legato alla durezza del cuore sono tanto più insidiosi quanto più essi sono inconsapevoli, vissuti nel sonno. In questa situazione l’avvento è come un grido nella notte in risposta alla preghiera del profeta Isaia che diceva: squarcia il cielo e vienici incontro.

L’avvento è il farsi presente di Dio nella nostra vita attraverso l’incarnazione del suo Figlio che, risuscitando dai morti, ha svegliato anche noi da una vita che altrimenti non sarebbe altro che una preparazione alla morte. L’attesa di nulla. La caratteristica della vita cristiana è la vigilanza, il sottrarsi ad una sonnolenza che accomuna l’umanità inconsapevole del Vangelo. Ci svegliamo dal sonno quando prendiamo sul serio questo annuncio di San Paolo: siamo chiamati alla comunione con Cristo risorto. Ci svegliamo dal sonno quando consideriamo seriamente questa possibilità: che io possa vivere questa vita non nella solitudine del mio ego e nemmeno solo nella compagnia di altri che muoiono come me, ma fondamentalmente nella comunione con il Cristo e nella partecipazione alla sua vita risorta. Non una comunione che verrà ma una comunione che tocca e trasforma la mia vita. È pur vero che non sperimentiamo ancora la sua presenza gloriosa. È come un padrone di casa che è partito in viaggio, dice Gesù nel Vangelo. Ma è anche vero, continua Gesù, che il maestro ha lasciato ai suoi servi la sua stessa autorità, e a ciascuno il suo compito.

L’autorità di Cristo è la possibilità di vivere da svegli, da risorti. La storia umana di Gesù non è un fatto accaduto 2000 anni fa e concluso con la sua morte. La sua venuta continua nella storia della mia vita, di ogni vita, che può essere breve o lunga, concludersi a metà della notte, al canto del gallo oppure all’alba, ma è sempre una storia che va non verso una fine ma verso un nuovo mattino e si conclude con la manifestazione del risorto. Non solo la manifestazione di Cristo fuori di me, nella sua venuta finale, ma anche la manifestazione di Cristo nella mia stessa vita che viene trasformata, valorizzata, espansa nell’amore. Questa manifestazione di Cristo in me non è uno stampo preconfezionato. È l’azione del Padre che giorno per giorno ci modella nell’immagine del figlio come il vasaio modella l’argilla, dice Isaia. Se crediamo davvero che l’immagine del suo figlio è il compimento della nostra personalità interiore e di tutta la nostra vita. Siamo chiamati alla comunione con Cristo risorto, a partecipare all’autorità che deriva dalla sua vita risorta. Io vivo costantemente nel ringraziamento, dice San Paolo, perché vedo che non vi manca nulla, vedo che siete ricchi di ogni dono. Non parla ad un singolo. Parla a tutti, alla comunità intera. Io partecipo a questi doni e a tutta la ricchezza della vita di Cristo semplicemente stando dentro la “casa”, partecipando alla vita della chiesa, vivendo in termini di comunione. Non bisogna temere che Gesù venga nella mia vita e io non me ne accorga. Non devo “indovinare” come o quando verrà il Signore perché finché viva la mia vita nella comunione della chiesa so che vi è un portiere nella casa. Vi è una grazia data alla casa intera che è la grazia di dispormi all’accoglienza di Cristo. È la grazia dell’avvento. E vi è una grazia data al fratello e alla sorella di allertarmi, di aiutarmi, di sostenermi nella vigilanza. A me è chiesto di rimanere fedele al compito a me affidato, di rimanere nella mia storia, di vivere con fedeltà e responsabilità le piccole cose di ogni giorno.