Domenica 8 ottobre 2023 -XVII/ a

Nel profeta Isaia Dio chiama a processo il suo popolo per aver mal corrisposto a tanti suoi benefici, ma lo fa non con una citazione in tribunale bensì con un cantico di amore. È come se il fallimento dell’alleanza fosse per Dio non tanto la ragione per una rottura definitiva quanto l’occasione per mettere in evidenza il suo amore e impegnarsi ulteriormente per un nuovo inizio. Cosa posso fare ancora per questa vigna?

Ciò spiega anche perché Gesù rimette in questione il giudizio di condanna che gli stessi anziani di Gerusalemme avevano pronunciato nei confronti dei vignaioli omicidi: “non sapete leggere e interpretare la scrittura? La pietra scartata dai costruttori è divenuta pietra angolare. Questa è opera di Dio e non umana e suscita stupore non amarezza negli occhi di chi sa guardare. Gesù ricorda loro che Dio è capace di operare per il bene laddove l’uomo ha operato per il male, di ripescare ciò che l’uomo ha scartato per tirarne fuori una cosa nuova che suscita stupore, che non c’è nulla da buttare nella storia della salvezza e quindi anche nella storia di ciascuno di noi. Non esiste un fallimento che non possa servire da cenere per covare un nuovo inizio, come non può esistere la parola fine per chi ama di un amore eterno e dona la vita eterna.

È alla luce di questo amore creativo allora che va interpretata la parabola del Vangelo. Il proprietario della vigna è un uomo pieno di cure e di attenzioni. Pianta la vigna e vi costruisce un tino e una torre per proteggerla. Non solo fa nascere e crescere la vigna ma pensa anche al suo frutto ed al bisogno di proteggerla per il futuro. L’immagine richiama l’azione della grazia che opera prima, durante e dopo ogni nostra attività. Prima in quanto previene le nostre iniziative suscitandone il desiderio. Durante, in quanto le sostiene incoraggiandone la realizzazione fino al frutto completo e dopo perché le guida affinché non degenerino in un fallimento. Ma questo nel pieno rispetto della nostra libertà. Fatto il suo lavoro, il padrone, continua la parabola, affida la vigna ai vignaioli e si assenta. Assentandosi egli dà fiducia, lascia spazio all’iniziativa dei vignaioli, valorizza la loro libertà e la loro responsabilità. La grazia agisce come un dinamismo che fa tutto e, al contempo, tutto lascia fare. Essa non si sostituisce allo sforzo fruttuoso della nostra volontà ma lo accompagna in una sinergia di amore che è sempre attiva, sia nelle circostanze che nelle persone, ma in un modo così naturale, discreto, semplice, da dare l’impressione, ad uno sguardo superficiale, di un’assenza. In realtà è proprio questa sinergia “nascosta” che permette a Dio di rendere potenzialmente feconda la nostra libertà, capace cioè di realizzazioni che superano i suoi meriti e le sue possibilità, lasciandola al contempo inviolata.

Naturalmente, il rischio insito in una situazione del genere è che l’uomo, proprio perché rispettato nella sua libertà, tenda ad appropriarsi del frutto della grazia e quindi si mostri ingrato e possessivo. I vignaioli della parabola, dimentichi della loro condizione di graziati, di popolo dell’alleanza, non sentono più il dovere di corrispondere a colui che ha affidato loro la vigna e agiscono come se questa non avesse proprietario, arrivando ad uccidere l’erede per avere l’eredità. Si comportano, insomma, come persone che considerano il padrone alla stregua di un morto che ha consegnato i suoi beni ad altri e non ha più alcun diritto su di essi. Il Vangelo mette a confronto due mentalità opposte. Il padrone con fiducia ostinata e quasi ingenua continua a pensare: avranno considerazione di mio figlio. I vignaioli, presumendo di poter gestire da soli i propri affari, pensano: uccidiamolo e la vigna sarà nostra.

Il contrasto interpella il nostro atteggiamento fondamentale verso la vita che, se non è di gratitudine, degenera nella pretenziosità.   Questa degenerazione, che ha coinvolto l’intero popolo di Israele, è possibile per ciascuno di noi. Tutti possiamo facilmente dimenticare che Dio è al servizio della nostra libertà, percepirlo come assente e superfluo e lentamente cadere nella lamentosità, nell’ansia, nella falsa percezione che ho fatto tutto io nella vita e che tutto mi e’ dovuto. Al contrario Paolo richiama alla gratitudine fiduciosa: non preoccupatevi di nulla. Dio si prende cura dei vostri interessi e risponde a tutte le vostre suppliche. Si potrebbe dire che è Dio che fa tutto nella nostra vita. Ma proprio per questo, continua Paolo, non restate oziosi e soddisfatti di voi stessi. In un certo senso Dio tutto lascia fare a noi. Desiderate di crescere nell’amore, cercate il “di più” in ogni cosa buona, cercate di eccellere in tutto ciò che è amabile, vero, dignitoso, puro, giusto. La grazia, insomma, non è data perché viviamo una vita comoda, in pantofole. Ma una vita fruttuosa, degna, coraggiosa; una vita in cammino. Una vita eccezionale non perché irraggiungibile o riservata a pochi ma proprio perché desiderabile e possibile a tutti. Quello che vedete in noi, conclude Paolo, fatelo anche voi.