Domenica 27 agosto. XXI/a
La prima lettura racconta di un intervento di Dio nella storia di Israele per operare un capovolgimento di situazione. Ad un certo Sebna, funzionario regale, che credeva di essere un grande uomo ed una figura insostituibile Dio preferisce un altro di nome Eliakim, al quale riconosce due qualità. La prima è la sollecitudine per cercare in tutte le cose la volontà di Dio più che la propria. Ricevere le chiavi di Davide, infatti, significa acquistare quella prudenza che permette di guidare gli altri, cioè di aprire e chiudere quei cammini che, a seconda delle situazioni, possono risultare sicuri o meno per quelli che ci sono stati affidati.
La seconda qualità di quest’uomo è la fedeltà. Egli sarà, dice il testo, come un piolo piantato in luogo solido, capace cioè di resistere alle sollecitazioni di forze contrarie. Queste due qualità non sono poca cosa. Noi tutti infatti non nasciamo dotati di una chiave adatta ad aprire la porta della vita. Spesso procediamo per tentativi inutili e dolorosamente fallimentari. Nel lavoro, nelle relazioni nel perseguimento di progetti personali non di rado dobbiamo comunque fermarci davanti a porte chiuse. Quando poi riusciamo a trovare la chiave che apre una situazione non sempre siamo fedeli e perseveranti. Cambiamo idea, ci scoraggiamo, ci stanchiamo. A causa di questi tentennamenti, dunque, il nostro cuore diventa naturalmente inaffidabile.
Per acquistare lucidità e stabilità esso deve imparare a fidarsi di uno più grande di lui. E questo non è spontaneo. La storia di Sebna ci ricorda che tutti tendiamo a fare esattamente il contrario. A dare molto credito ai nostri progetti e alle nostre forze e a dimenticare la nostra radicale dipendenza da Dio. San Paolo vorrebbe risvegliare questa consapevolezza quando si interroga: “chi ha mai ha potuto conoscere i pensieri del Signore? chi gli ha mai dato consiglio? chi ha fatto qualcosa per primo nei confronti di Dio così da dover essere ringraziato e rimunerato?” Noi riceviamo da Dio non delle cose ma l’esistenza stessa. Ciò di cui siamo fatti, il tessuto stesso del nostro cuore, la sorgente stessa del nostro vivere.
E questa esistenza la riceviamo non come qualcosa di estraneo a Dio ma come una partecipazione alla sua stessa vita. Dio, in tal senso, dona sé stesso all’uomo e per questo non è solo creatore ma anche Padre. Per questo Egli viene prima. E per questo, come Colui che sta all’origine e al compimento di ogni destino, Dio ha le chiavi della storia e di ogni vita. Commuove, allora, il fatto che questo Dio, in Gesù, abbia voluto mettere queste “chiavi” nelle nostre stesse mani, chiamandoci, nella chiesa, ad avere accesso alla sua vita in maniera tale da poter sperimentare Dio come il “Dio vivente”, come una presenza reale, efficace, che riempie una vita altrimenti quasi morta.
Quando Gesù chiede ai discepoli qual è l’opinione della gente sul suo conto ne ottiene una risposta tutta umana. La gente infatti fa riferimento a ciò che è già noto, ciò che ha qualche aggancio con la realtà e la storia già vissuta. La gente pensa quindi al Battista, a Geremia, ad Elia oppure ad un altro dei profeti. Comunque, pensa al passato. Ma questa risposta non poteva bastare. Gesù annuncia il Regno di Dio e quindi la partecipazione alla vita del Padre che agisce, non nel passato, ma nell’oggi della tua vita e che porta ad un compimento eterno. In tal senso la domanda che Gesù fa ai suoi discepoli riguarda ciascuno di noi: chi dite che io sia. Tu sai chi è veramente qualcuno quando sai che cosa quella persona può dignificare per te e per la tua vita. Tu cominci a conoscere qualcosa del Cristo solo quando gli affidi veramente la tua vita perché credi che Lui possiede quelle chiavi che introducono alla vita del Padre. Ma per far questo hai bisogno di una fede forte che si fonda non solo solle tue persuasioni soggettive ma su qualcosa di rocciosamente solido che noi chiamiamo chiesa. Certo nella nostra autoreferenzialità e supponenza possiamo convincerci che tutto nella vita si esaurisce in ciò che sappiamo, vediamo e realizziamo umanamente. Nella carne e nel sangue. Facciamo fatica a credere che possa esserci di più.
La fede, che è allo stesso tempo personale ed ecclesiale, ti ricorda che noi tutti abbiamo un rapporto appunto personale e comunitario con il Padre nei cieli e con la vita del cielo. Le realizzazioni umane più grandi alla fine sono tutte sostituibili come quelle del presuntuoso Sebna. È solo l’amore personalissimo del Padre per ciascuno che rende la sua vita e il suo destino insostituibili, unici, preziosi. È per la fede che Simone, l’anonimo figlio di Giona, diventa figlio del Padre nell’Unico Figlio che è lo stesso Gesù. Ed è per la fede che egli offre a noi le chiavi di accesso ad una nascita e vita divina qualitativamente superiore. Una vita così abbondante da sfondare le porte degli inferi, le cui chiavi non sono date agli uomini. Una vita così elevata da raggiungere il Regno dei cieli ed aprirne le porte con quelle chiavi che graziosamente Dio pone nelle nostre mani.