Domenica 26 Marzo 2023 – Quaresima V/a

Il racconto evangelico di questa domenica comincia e finisce con due situazioni fortemente contrastanti. All’inizio si ricorda Maria che aveva lavato i piedi di Gesù e li aveva unti con olio profumato in vista della sua sepoltura. Alla fine, si fa riferimento al corpo ormai in corruzione di Lazzaro che puzza e non può essere esposto al pubblico. Il contrasto mette in luce come la speranza cristiana non sia solo un’obiezione alla morte, ma più radicalmente a quel processo inesorabile che è la corruzione del corpo. Il profumo versato sui piedi di Gesù onora in lui la nostra corporeità destinata alla corruzione e diventa per tutti, la promessa di un cambio definitivo della nostra condizione esistenziale. E questo non solo a partire dalla resurrezione finale dei morti. Davanti al sepolcro Gesù grida con voce forte: “Lazzaro, vieni fuori” perché tutti possano udire quell’invito come rivolto a ciascuno, qui ed ora. Non si può credere di venir fuori dal sepolcro senza credere di poter venir fuori da qualsiasi situazione esistenziale che noi stessi sappiamo è una situazione di vita morta e sulla quale preferiremmo ormai metterci una pietra sopra. Ci abituiamo al peccato, all’ingiustizia, alla violenza. Possiamo arrivare a “normalizzare” qualsiasi cosa che invece, se la consideriamo con attenzione e responsabilità, è vergognosa e impresentabile. Paolo parla di questo tipo di situazione quando dice: non abituatevi a vivere semplicemente nella carne. Noi non apparteniamo alla carne e quindi non apparteniamo a noi stessi. Siamo di Cristo risorto e quindi siamo stati portati fuori con lui dal sepolcro fin da ora. Questo non vuol dire che non moriremo ma che possiamo fin da ora cominciare a camminare e a vivere secondo quella grazia che viene dalla morte e resurrezione di Cristo. Come se fossimo anche noi già morti e risorti. A Marta, ormai rassegnata a rivedere suo fratello soltanto nella resurrezione alla fine dei tempi, Gesù dice con franchezza: “Io sono la resurrezione e la vita. Chiunque è vivo e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?”. Questa promessa da un compimento alla profezia di Ezechiele dove Dio dice al suo popolo che nessuno lo conosce veramente finché non conosce una vita non solo fuori dal sepolcro ma anche fuori dall’esilio; quindi, una vita che sfida tutto ciò che è alienazione da noi stessi e da Dio. Una vita che sfida soprattutto ciò che è corruzione, della carne e del cuore, cioè di quella realtà interna e profonda di noi stessi che ci rende impresentabili agli occhi degli altri e ai nostri stessi occhi. Piu moriamo nella nostra carne e più avremo cose da nascondere. Più viviamo nella luce di Cristo più avremo cose da raccontare, cose che diventano vangelo per altri, cose che fanno della nostra vita evangelizzazione e missione. Il cammino quaresimale verso la Pasqua è, dunque, il cammino verso un’appropriazione della vita risorta di Cristo, in maniera sempre più piena. Sempre più piena perché facciamo fatica ad assimilare in un colpo solo questa grazia sovrabbondante che si muove goffamente nella nostra vecchia natura umana come Lazzaro nelle sue bende sepolcrali. Gesù a Betania non deve resuscitare soltanto Lazzaro e tirarlo fuori dalla sua tomba. Deve resuscitare anche Maria che vive ripiegata su sé stessa nella sua casa. Deve farla alzare, risorgere (così dice il Vangelo alla lettera), e deve farla venire fuori perché impari a desiderare una vita che non è solo la vita che lei conosce a partire dalle sue aspettative frustrate. In un certo senso è più faticoso accogliere adesso la resurrezione di Cristo e cominciare a vivere la vita eterna, che semplicemente rassegnarsi a vivere nella carne e continuare a morire a poco a poco. È possibile allora che il pianto di Gesù al sepolcro non esprima tanto l’affetto per Lazzaro. In fondo Gesù sapeva bene che lo avrebbe risuscitato a breve. Il pianto di Gesù è soprattutto lo sguardo commosso, non indifferente, del Figlio di Dio dinanzi all’umanità che piange e non riesce a sperare più di quello che si possa umanamente sperare. Se noi davvero crediamo che Cristo è risorto questa fiducia nella sua resurrezione diventa operativa nella nostra vita. Se Cristo è vivo allora dovunque tu sia e qualsiasi cosa ti accada nella vita, anche e soprattutto quando piangi, risuonerà sempre nel tuo cuore questo richiamo che Marta ha rivolto a Maria sua sorella: il maestro ti chiama. Le circostanze della vita, allora, anche quelle che facciamo fatica ad accettare, diventano un richiamo a “venire fuori” da noi stessi, da una prospettiva ristretta sulle cose e da una vita che probabilmente vivevamo ancora per noi stessi e non per colui che ci ha chiamati alla vita eterna. Qui ed ora. L’umanità inevitabilmente cammina verso il sepolcro. Noi siamo un popolo nuovo che per la fede e’ già uscito dal sepolcro ed è chiamato a diventare sempre più vivo. Certo siamo ancora impacciati dalle bende, come Lazzaro. Ma affidati alla chiesa ne siamo sciolti gradualmente per camminare sempre più speditamente verso la luce.