25 Febbraio 2023 – I domenica di Quaresima

Il Vangelo di oggi descrive Gesù condotto nel deserto dallo Spirito Santo. Questa sua esperienza è così piena e soddisfacente da togliergli la fame. Per 40 giorni e per 40 notti Gesù resta senza mangiare, quasi non avesse più bisogno di cercare altra vita se non quella che riceveva dal Padre suo. Dopo questa esperienza piena ed entusiasmante, ecco il vuoto. Gesù si ritrova ad aver fame e con la fame si ritrova ad affrontare la tentazione che Adamo, pur essendo sazio, non aveva saputo superare. In fondo, la tentazione affrontata da Adamo e poi dallo stesso Gesù si ripropone per ciascuno di noi.

Quando abbiamo fame, quando cioè ci sembra che la vita ci dia meno di ciò di cui pensiamo di aver bisogno, dove cerchiamo la sazietà? La cerchiamo da noi stessi inseguendo quella vita che sembra poter venire dal lavoro, dalle relazioni, dai piaceri o da qualsiasi altra cosa?

Oppure ci riconosciamo bisognosi e cerchiamo con più diligenza di metterci in ascolto di Colui che della vita è l’origine e che quando parla al nostro cuore non parla con astrazioni e belle frasi ma con il dono della sua stessa vita?

La contrapposizione tra l’immagine di Adamo che copre la sua nudità dopo il peccato con delle foglie e quella di Gesù che vittorioso sul tentatore è servito dagli angeli rende bene la distanza che esiste tra la vita che noi riusciamo a stento a procurarci e quella che Dio vorrebbe regalarci. È pur vero, come racconta il libro della genesi, che l’uomo è stato creato come un essere vivente. Eppure, questa sua vita originariamente piena e soddisfacente, è divenuta una vita mortale a causa del peccato; una vita, che se fosse eterna, sarebbe insopportabile. Essa non sarà mai una vita all’altezza del cuore dell’uomo perché non riuscirà mai a coprire la sua nudità e quindi la sua percezione di una radicale insufficienza.

In tal senso il peccato, dirà San Paolo regna nell’uomo, rendendolo soggetto ad un potere che di per sé è estraneo alla sua natura e questo anche prima che venga la legge. Il peccato in effetti non consiste primariamente nel violare le regole del bene quanto nel ferire la nostra capacità di fare il bene e quindi di vivere in pienezza. Per questo, conclude San Paolo, ciò che il Cristo vorrebbe restituirci con la sua obbedienza piena di fiducia nel Padre e’ la giustificazione che dà la vita. Non una copertura di foglie per la nostra nudità ma quella dignità originaria, rappresentata dal servizio degli angeli nei confronti di Gesù. Questo ci insegna che non abbiamo più bisogno di mendicare la vita a destra o a sinistra con i nostri sforzi. Possiamo accoglierla come dono di Dio, che si rende disponibile anche laddove a noi sembra di percepire soltanto il deserto e la fame.

La condizione per compiere questo cammino di riscoperta della sorgente della vita piena e della nostra dignità filiale è la fede, la fiducia, l’abbandono obbediente alla volontà del padre. Per questa fede impariamo come Gesù a lasciarci condurre nel deserto dallo Spirito Santo, non un giorno, non un tempo particolare, ma 40 giorni e 40 notti, cioè tutta una vita. Ogni minuto della nostra vita, infatti, siamo chiamati a “fare deserto”, a tenere Dio al primo posto e a preferirlo a tutto il resto. Perché ogni minuto possiamo essere tentati, per interesse, per egoismo, per paura, per curiosità, di priorità a qualsiasi altra cosa. In tal caso possiamo avere l’impressione di lasciare il deserto e di ritrovarci apparentemente sempre più in alto, come sul pinnacolo del tempio per Gesù. Ma è proprio allora che più facilmente ci ritroviamo ingannati e alla fine schiavi di ciò che doveva farci sentire liberi. Il demonio non si rivela subito come dominatore ostile.

All’inizio del Vangelo egli viene discretamente descritto come il tentatore, colui che inganna o distorce la realtà, perché vorrebbe far apparire la fame di Gesù non come un cammino di liberta ma come una cosa inappropriata, una ferita nella relazione con il Padre: non saresti Tu il figlio suo? Piu avanti egli viene nominato come “il diavolo”, cioè il divisore che cerca di separare Gesù dalla volontà del padre, invitandoci a dimostrare che è capace di salvarsi da solo: gettati e gli angeli ti porteranno. Questo invito a gettarsi giù che Gesù ascolta sul pinnacolo del tempio egli lo ritroverà sulla croce quando altri gli diranno di scendere giù da quella croce. In entrambi i casi Gesù preferisce ancorare la sua vita alla volontà del padre piuttosto che alle proprie prospettive e aspettative. Solo alla fine Gesù smaschera definitivamente il demonio chiamandolo “satana”, cioè avversario, nemico. In fondo, la tentazione originaria della genesi si ripete. Ogni volta di nuovo dobbiamo decidere a chi donare la nostra obbedienza. Ad un Padre che, pur amandoci, ci fa crescere su un cammino che include la fatica e il combattimento per la libertà oppure ad un nemico che ci lusinga ma che alla fine vuole essere adorato da schiavi sottomessi.