Limone 29 gennaio 2023 – V/ a

Nel suo primo insegnamento ai discepoli seduti intorno a lui, Gesù non indica precetti, regole da seguire o cose da fare. Piuttosto egli descrive un modo di essere nel mondo, un’identità da desiderare e perseguire che dà forma innanzitutto alle qualità del cuore come la mitezza o la purezza, ma che inevitabilmente si riflette anche nelle relazioni tra le persone: beati i pacificatori, i misericordiosi, gli assetati di giustizia. Le beatitudini annunciano la formazione di un popolo nuovo di persone che vivono consapevoli del fatto di non appartenere a sé stessi e nemmeno semplicemente a questo mondo ma al Regno di Dio. In questo Regno, anche i poveri che sarebbero scartati o ignorati in altri regni umani, trovano attenzione e benevolenza: Beati i poveri in spirito, dice Gesù, perché di essi è il Regno dei cieli. Non solo nel senso che essi appartengono al Regno ma anche nel senso che Il Regno appartiene ad essi. Questo è l’annuncio missionario per eccellenza. Trovano così compimento le parole di Dio nel profeta Sofonia: farò restare in mezzo a te o Israele un popolo umile e povero che Io stesso porterò al pascolo. Umiltà e povertà evidentemente non sono il primo e più ovvio desiderio dei singoli e dei popoli. Di fatto umiltà e povertà ripugnano alla natura umana in quanto istintivamente associate con l’infelicità. Le beatitudini, allora, sono un invito a guardare più attentamente la realtà e a chiedersi seriamente dove si trova davvero questa felicità. Si tratta di andar oltre l’ovvietà della nostra esperienza ed accogliere le provocazioni che vengono dalle beatitudini lasciandosi trasformare dalla “mentalità di Gesù”, che e’ davvero una mentalità trasgressiva rispetto al sentire comune. Essa ti porta a far dipendere la tua felicita non dalle circostanze favorevoli, ma dal saper cercare, in ogni circostanza, anche quelle contraddittorie, quello che veramente conta, che fa crescere, che fa bene al proprio cuore ed anche a quello degli altri. Il problema è che un tale atteggiamento, nella concretezza della nostra vita, si rivela al di là delle nostre forze, tanto che viene da domandarsi se le beatitudini siano un sogno, un’utopia oppure uno sforzo sovraumano. San Paolo direbbe che esse non sono né un sogno né una possibilità umana. Esse sono una chiamata. In esse bisogna riconoscere un invito; un invito a partecipare a quella pienezza di vita che Gesù risorto è venuto a portare sulla terra. Se, infatti, nella nostra realtà di ogni giorno ci accontentiamo di ciò che soddisfa immediatamente e ignoriamo la presenza di una chiamata da parte di Dio a cercare il suo Regno, rischiamo di ritrovarci nel vuoto. Le cose che sono, dice Paolo, cioè tutto ciò che adesso appare solido, duraturo, vincente, alla fine sarà ridotto a nulla, cioè si rivelerà per quello che è in tutta la sua inconsistenza.  Considerate dunque la vostra chiamata continua Paolo, considerate verso dove andate e non solo da dove  venite. Dio non ci chiama a far cose di cui potremmo vantarci, o nelle quali mostrare le nostre capacità.

Al contrario Dio ci chiama a partire da ciò di cui saremmo tentati di vergognarci, dalla nostra inadeguatezza e dalla nostra povertà. E questo affinché possiamo cercare e trovare in Gesù e non in noi stessi la possibilità di vivere una partecipazione piena alla vita dello Spirito Santo. Questa vita può elevare gradualmente e quasi impercettibilmente la nostra personalità, la nostra natura, i nostri desideri, il nostro modo di pensare, di parlare, di agire fino a renderci capace di accogliere il suo Regno, a diventare in un certo senso persone eterne, cittadini del cielo. Questo Regno di Dio in mezzo a noi è la consapevolezza che Gesù Cristo e’ una presenza viva e che comunicando a noi la potenza della sua resurrazione Egli si fa, conclude San Paolo, nostra sapienza che e’ amore per la verità, nostra giustizia che e’ il desiderio del bene comune, nostra santificazione che e’ la purificazione del cuore nell’amore, e nostra redenzione che e’ libertà dal peccato. l segno di questa elevazione della nostra natura e del nostro stile di vita fino alla statura dell’uomo nuovo che è adatto al Regno di Dio, paradossalmente, è l’ostilità del mondo, il disprezzo, a volte la persecuzione, la critica, la calunnia, la commiserazione. Perché chi accoglie la vita nuova di Cristo di riflesso denuncia come falsa ogni altra vita, ogni altro vanto umano e getta una luce sul fatto che ogni possibile soddisfazione umana, ogni Sapienza umana, ogni umana capacità sono incapaci di dare la felicità. La beatitudine non è una conquista ma un dono che Dio fa a chiunque accoglie la chiamata della fede. Essa genera la consapevolezza che puoi fare ogni cosa, non per essere felice, ma perché sei felice. Non per inseguire una felicita egoistica ma perché cercando in tutte le cose la volontà di Dio, ti rendi conto con sempre maggiore chiarezza, che in tutte le cose, anche nella persecuzione e nella sofferenza, Dio ha nascosto una sorgente di gioia che supera ogni tua aspettativa e ti rende così soddisfatto della tua gioia da cercare sempre di più quella degli altri.