14 gennaio 2023 – seconda domenica / A

Prima ancora che Gesù cominciasse la sua missione, Giovanni lo indica al mondo in modo singolare e misterioso: ecco, l’agnello di Dio, ecco colui che porta il peccato del mondo. Questo compito di togliere il peccato del mondo non poteva essere il compito di un re, di un funzionario e nemmeno di un profeta, ma piuttosto il compito di un servo. Il peccato infatti ferisce innanzitutto la nostra libertà rendendola ribelle, orgogliosa, resistente a qualsiasi autorità superiore a sé stessa e quindi essa può essere raggiunta e guarita solo da uno che si ponga al di sotto di essa, cioè al suo servizio.

È interessante come, nel profeta Isaia, la missione del servo sia annunciata al mondo intero ma con un linguaggio rivolto al singolo, al suo cuore, alla sua interiorità. Il messaggio si rivolge alle isole lontane, ma al contempo si rivolge and un “tu: ecco tu sei mio servo. Interiorità ed esteriorità non sono più due dimensioni separate ma coincidenti. Questo servo inoltre portando su di sé il nome di Israele rappresenta ad un tempo il singolo ed il popolo. È un richiamo al fatto che, come Gesù, ha saputo ritrovare nella storia di Israele il senso profondo della sua storia personale così ciascuno di noi è chiamato a riconoscere nella storia di Israele e in quella di Gesù la propria storia personale per essa sia illuminata e compresa in profondità. Non siamo noi, dunque, che leggiamo la Bibbia ma è essa che deve leggere il nostro cuore (Cf. C. Miriamo) e insegnarci, a conoscere sempre più profondamente, come è stato per Giovanni, sia Gesù sia noi stessi e la nostra storia. Allora ci rendiamo conto che tante cose o circostanze che sembravano venire dietro di noi, che sembravano dipendere da noi, dei nostri sforzi ho anche dei nostri errori, in realtà sono prima di noi, riflettono un disegno di salvezza, la promessa che Dio può fare delle circostanze caotiche della nostra vita una storia meravigliosa.

Giovanni, per descrivere che cosa fa questo servo di Yahweh, non trova un’immagine migliore di quella dell’agnello, dell’animale sacrificale docilissimo che, senza difese e senza resistenze, si lascia condurre al macello. Nessuno avrebbe mai pensato di identificare colui che porta luce alle nazioni e salvezza al mondo con un agnello, eppure vi è, proprio in questa immagine, tutto il mistero dell’amore di Dio, che arriviamo a conoscere solo per gradi e mai totalmente. Anche il battista deve ammettere che non conosceva veramente Gesù. Certo, lo conosceva umanamente, nella carne, ma non ne conosceva il mistero, l’identità profonda e la sua intima relazione con il padre. Solo dopo che Gesù si è fatto battezzare, Giovanni comprende che egli possiede uno spirito che dimora in lui in una maniera così personale e completa da poterlo donare ad altri. Anche noi, dunque, proprio come Giovanni, siamo chiamati ad andare oltre la superficialità delle cose per conoscere ciò che si può conoscere solo nello spirito e quindi nell’amore.

Attraverso Gesù anche noi possiamo essere battezzati nello Spirito Santo e quindi partecipare alla vita divina, all’amicizia con Dio. Per lo Spirito Santo noi che eravamo ostili e ribelli possiamo imparare nuovamente a mettere la nostra vita a servizio di Dio, consapevoli che nella casa di Dio il “servo” non è semplicemente un operaio ma uno che vive in “amicizia” con il suo maestro. Il servo è colui “che conosce il suo padrone” (Tenace M.), e quindi la sua volontà buona. In virtù di questa amicizia Dio può proclamare nel profeta Isaia, di gloriarsi nel suo servo ed allo stesso tempo, di volerlo rendere partecipe della sua stessa gloria. È troppo poco per te – dice Dio al suo servo – essere quello che sei. Io ti farò luce e salvezza per il mondo. E lo ripete Dio lo ripete a chiunque accoglie lo Spirito Santo. È troppo poco che la tua vita sia quella che sia. C’è un di più che dipende dalla sovrabbondante grazia di Dio e dal suo disegno di salvezza che non colma, bensì supera ogni nostra attesa.

In tal senso farsi “servi di Dio” significa partecipare ad una dignità e non ad una fatica. Il servo di Yahweh, nelle parole di Isaia, non è stato reso tale per una qualsiasi obbligazione o circostanza esterna ma è stato formato così nel grembo materno. Il servizio che Gesù compie, dunque, è legato innanzitutto alla sua disponibilità ad assumere la natura umana e a darle un principio nuovo, una novità di vita, a partire dal grembo materno. L’incarnazione introduce nel mondo la possibilità che la nostra libertà diventi docile, si ponga a servizio del bene e dell’amore e quindi diventi capace di amicizia non solo con Dio ma anche tra di noi. Questa amicizia Paolo la descrive come una comunione di intenti tra lui e Sostene e quindi come comunione tra i Corinzi e tutti coloro che sono “santificati” in qualsiasi luogo del mondo. Tutti i credenti sono santi, ricorda San Paolo, non perché impeccabili e superiori ad altri, ma perché hanno accolto lo Spirito Santo, la partecipazione alla vita di Dio e quindi la chiamata a farsi agnelli con l’agnello. Questo cambio di natura non si limita a cambiare l’intimità delle persone ma anche le loro relazioni e quindi le regole del vivere sociale. I santi sono coloro che vivono un’amicizia tale tra di loro da superare ogni egoismo personale, culturale, nazionale per dare precedenza alla comunione, al bene, all’amore insomma alla vita dello Spirito Santo.