9 ottobre 2022 – 28/c

Il Vangelo di oggi descrive uno dei miracoli più singolari del ministero di Gesù, soprattutto perché’ esso si realizza, non in presenza di Gesù e nemmeno al tempio, ma lungo il cammino. Questo fa sì che soltanto uno dei dieci guariti, riconosca in Gesù l’origine della sua guarigione e torni indietro per ringraziare. Gesù non si arrabbia e non rimprovera ma solleva tre interrogativi: non sono stati guariti tutti e dieci? dove sono gli altri nove? soltanto uno straniero e ritornato per dare gloria a Dio? evidentemente queste domande sono rivolte al cuore di ciascuno di noi e ci aiutano a riflettere sul fatto che tutti ricevono molto da Dio ma probabilmente soltanto pochi se ne rendono conto perché spesso il dono si manifesta cammin facendo.

Dire che l’opera di Dio nella nostra vita si realizza lungo il cammino significa riconoscere che essa non è necessariamente un fatto puntuale ma una grazia che sostiene nascostamente i nostri passi quotidiani, spesso ripetitivi come le sette abluzioni di Naaman, finché non si rivela finalmente come sorprendentemente fruttuosa. In questo miracolo avvenuto a metà strada tra Gesù e il tempio i dieci devono scegliere se tornare indietro, se rileggere la loro storia come provvidenziale e salvifica, oppure se continuare lungo la loro strada. Andare al tempio significa cercare un riconoscimento esterno della propria giustizia, poter dire: sono arrivato, adesso sono in regola, finalmente posso farcela da solo. Tornare a Cristo significa riconoscere una dipendenza dalla sua grazia e il bisogno di appartenergli con tutto noi stessi.

Per sperimentare tutta la novità della vita risorta io non ho bisogno di un certificato di buona condotta ma di una persona la cui vita sia più forte della mia morte e che quindi possa sostenere con la sua vitalità ogni mia debolezza che conduce proprio alla morte.  Non a caso Paolo dice a Timoteo: se noi siamo infedeli lui però rimane fedele. Questo implica un modo nuovo di intendere la moralità e la relazione con Dio. Essa adesso si basa sulla consapevolezza che la fedeltà di Cristo non è la risposta alla mia fedeltà, alla mia coerenza, alla mia correttezza, alla mia presunta giustizia. La fedeltà di Cristo e un’offerta continua di salvezza fatta proprio alla mia infedeltà. Ricordati che Cristo è risorto dai morti. Mille volte posso sbagliare e mille volte posso tornare a lui pieno di gratitudine perché la gratitudine è la risposta più vera alla percezione della gratuita dell’altro. Se questa nuova moralità può sembrare una cosa facile da vivere chiediamoci dove sono gli altri nove. Il cuore dell’uomo non brama di sentirsi grato ma piuttosto di sentirsi a posto. Senza la conversione, senza il ritorno a Cristo continuo e non occasionale, il nostro cuore rimane dominato non dalla gratitudine ma dall’interesse e la vita viene sempre più vissuta non in termini di gratuita ma di calcolo: cosa ci guadagno, che cosa ci rimetto. Questo è vero anche a livello sociale, come ricorda spesso Papa Francesco, in cui la dimensione economica, la considerazione per ciò che rende di più e più in fretta, prende il sopravvento su ogni altra considerazione. Ricordati che Cristo è risorto dai morti- dice Paolo a Timoteo. Questo “ricordarsi” è un continuo ritornare indietro per aggrapparsi a Gesù Cristo e rinnovare la nostra consapevolezza che c’è una vita risorta, quindi reale ed eterna, che attende di manifestarsi nella nostra vita se solo crediamo che quest’ultima possiamo viverla “con lui” e non da noi stessi.

Se con Lui moriamo, cioè se smettiamo di affermare noi stessi, viviamo con lui, cioè permettiamo alla sua vita risorta di manifestarsi in noi. Se con lui perseveriamo, se accettiamo cioè la logica del cammino, della crescita lenta, della fiducia incondizionata e paziente, con lui regneremo, sperimenteremo un compimento dei desideri più veri del nostro cuore e delle promesse di Dio. In fondo i due carichi di terra che Naaman chiede di riportare in patria come ricordo della guarigione ottenuta esprimono proprio questo desiderio di perseverare in un atteggiamento di dipendenza piena di gratitudine in tutti i momenti della vita quotidiana, che non è più vissuta come uno spazio proprio ma come il “terreno” in cui Dio e la sua opera si fanno presenti. Per noi, come per i lebbrosi del Vangelo, la salvezza non viene dal solo miracolo ma dalla conversione. Tutti sono stati purificati nel loro cuore e tutti sono stati guariti nel loro corpo, ma solo il samaritano che ritorna a Gesù può ascoltare la sua parola conclusiva: vai in pace la tua fede ti ha salvato. Convertirsi è ritornare a Cristo nonostante tutto, è dare fiducia a lui quando noi non ne abbiano più in noi stessi, è accogliere la gratuita del suo amore. Ciò che può portare a rinnegare il Cristo e’ più la nostra forza che la nostra debolezza. Il samaritano vistosi guarito non si è sentito a posto e quindi forte, ma grato. Ed è tornato a colui che lo aveva guarito.