Limone 22 maggio 2022

Gesù prepara i suoi discepoli alla sua dipartita, cioè a quella situazione in cui avranno l’impressione di essere soli ad affrontare le difficolta della vita. Egli promette a loro, dunque, il soccorso di una presenza ancora più efficace della sua: quella del Padre. Il Padre è più grande di me, dice Gesù. Non solo. Gesù rivela ai discepoli che dopo la sua morte e resurrezione ogni distanza tra il cielo e la terra sarà praticamente annullata perché il cielo stesso abiterà nel cuore di ogni credente: se uno mi amo io ed il Padre verremo a Lui; non in visita ma per abitarvi, per prendervi dimora, per realizzare una relazione stabile. Questa possibilità ci illumina su un fatto fondamentale. La nostra “anima”, la nostra interiorità, il nostro cuore è una realtà immensamente preziosa di cui facilmente trascuriamo o ignoriamo del tutto la bellezza e la potenzialità.

Esploriamo sempre meglio le profondità dello spazio stellare ma richiamo di vivere sempre più distratti rispetto a quello spazio altrettanto immenso ed accogliente che può essere il nostro cuore. Per meglio comprendere questo mistero occorre fermarsi sulla visione dell’apocalisse dove la “dimora di Dio” è descritta come una città in cui domina lo splendore della luce, la sicurezza di mura possenti e la trasparenza del cristallo. È Dio che rende tale la sua dimora poiché la città scende dal cielo e non dalla terra (e perché paradossalmente essa ha per fondamento non le 12 tribù di Israele, che storicamente precedono, ma i 12 apostoli cioè quella comunità che Gesù stesso ha stabilito con il dono della sua morte e resurrezione. Ciò che vale per la città del cielo vale anche per il singolo credente su questa terra. Scegliendo il nostro cuore come dimora, Dio opera una sua “purificazione”.  Essa, dira Pietro negli Atti, è concessa anche ai pagani in quanto non è più il risultato dell’obbedienza alla legge, ma dono dello Spirito Santo. Coloro che normalmente sarebbe stati esclusi dall’entrare nel tempio per la loro impurità adesso posso diventare dimora di Dio e quindi acquisire un cuore purificato. Questo cuore purificato, dunque, come la città dell’apocalisse, si caratterizza per tre caratteristiche fondamentali. Il dono della pace dinanzi a qualsiasi turbamento, anche laddove il mondo non è capace di donare pace. La pace del cuore corrisponde alle mura che circondano la città celeste e che – occorre notarlo – non sono mura chiuse ma aperte perché piene di porte e quindi espressione di accoglienza non di difensivita’. La seconda caratteristica è la luminosità. Gesù promette infatti che, proprio come la città del cielo, non avremo bisogno di altra lampada se non la sua grazia e quindi promette lo Spirito che ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà le sue parole. La dimenticanza oppure il credere di sapere già tutto spengono la grazia nei nostri cuori. Il discepolo è luminoso quando non cessa mai di lasciarsi istruire. Terza caratteristica della purificazione del cuore è la trasparenza, cioè la grazia di poter testimoniare al mondo la nostra appartenenza ad un Altro.

Quando Gesù dice ai discepoli che la sua parola non è una parola umana ma veramente la Parola del Padre, egli li invita a riconoscere in Lui una trasparenza della presenza del Padre. Analogamente anche noi siamo chiamati a riconoscere nella realtà storica della vita ecclesiale una trasparenza delle realtà del cielo e a sentire la responsabilità di esprimere tale trasparenza anche nella nostra vita dinanzi al mondo. Non parliamo di una trasparenza ovvia, miracolistica, straordinaria, ma piuttosto segreta, graduale, a volte combattuta. Non a caso già nella prima comunità degli Atti vi erano dissensi, incomprensioni, dibattiti molto umani; eppure quei discepoli che vivevano la fatica di crescere storicamente come popolo di Dio non esistano a dire fin da subito: lo Spirito Santo e noi abbiamo deciso. Gradualmente lo Spirito purifica la sua chiesa e gradualmente lo stesso Spirito purifica il nostro cuore. Gesù dice: rimanete nel mio amore”. “Rimanere” nell’amore di Gesù significa perseverare, avanzare lentamente, senza mai distaccarsi dalla realtà e senza mai allontanarsi da un amore la cui discrezione e delicatezza rischia sempre di lasciar spazio alla tentazione di dimenticare o di andarsene. Perché un tale amore non rischi di ridursi a sentimentalismo o intimismo occorre tener ferma la corrispondenza tra il dimorare di Dio nel nostro cuore e il suo dimorare nella città dei credenti.

Per questo incoraggiando i discepoli a tener viva la loro fede gli apostoli danno alcune indicazioni pratiche per il vivere insieme. Astenersi dal sangue per noi oggi significa astenersi da qualsiasi atteggiamento che ferisce o diminuisce la sacralità della vita. Poiché nel sangue vi è la vita. Astenersi dall’adulterio significa recuperare il valore nella fedeltà nelle relazioni, non solo quelle coniugali, ma anche quelle sociali in genere. Significa riscoprire il valore dell’alleanza tra l’uomo e la donna al posto della competizione tra i sessi e dell’alleanza tra una generazione e l’altra. Evitare gli idoli e la loro carne venduta al mercato significa oggi evidentemente perseguire la libertà da qualsiasi valore economico o mondano che assoggetta il cuore alla paura o ad un interesse egoistico. Adorare un idolo in fatti significa trasferire la sacralità della persona che appartiene al suo cuore ed alla sua anima a cose esterne e materiali che attirano ma poi illudono e schiavizzano. Così l’anima che doveva essere dimora di Dio si ritrova vuota ed il vivere sociale che doveva essere città sicura e pacificata diventa spazio di competizione e conflitti.

P. Vincenzo Percassi