Limone 6 Marzo 2022 – I di quaresima C
Il libro del Deuteronomio ci presenta una delle più antiche professioni di fede del popolo ebraico. Ci che colpisce immediatamente è che questa professione di fede non si basa su delle idee particolari su Dio ma su un’esperienza vissuta: mio padre era un arameo errante cioè esposto ad ogni pericolo. Egli, inoltre, come straniero in Egitto ha vissuto nella precarietà e nell’insicurezza. Eppure, non è stato abbandonato da Dio ed è divenuto un popolo grande e forte. Questa fede in Dio, insomma, si fonda sull’esperienza che Dio è stato affidabile, non quando tutto andava bene ed era facile, ma proprio quando tutto sembrava andar male e non vi erano appoggi esterni. La fede di Israele, dunque, professa il fatto che Dio interagisce con noi proprio a partire dalla nostra debolezza. Per questo il ricordo di questa esperienza deve essere rinnovato – comanda Mose al popolo – ogni volta che si presenta un’offerta all’altare: perché l’atteggiamento più appropriato da parte dell’uomo verso Dio è quello della gratitudine. Dio, come si legge nel salmo, interagisce con noi nei fatti della vita proponendosi come rifugio, come riparo, come spazio in cui abitare quando gridiamo a lui con tutto il cuore. Noi “gridiamo” a Dio quando finalmente ci rendiamo conto che non abbiamo bisogno semplicemente di soluzioni immediate ai nostri piccoli fastidi ma di una salvezza, cioè di una relazione con Uno che sappia riscattare la nostra vita intera dal non senso, dal vuoto, dalla solitudine e dalla sua mortalità. Dio non salva sempre tutte le singole circostanze ma salva tutta la nostra persona e tutta la nostra storia, in maniera tale che nessuno possa vantarsi perché tutti siamo salvati nella debolezza, ed al contempo in maniera tale che nessuno debba vergognarsi o restare confuso, perché noi siamo salvati non in proporzione alle nostre forze ma proporzione alla forza di colui che ha risuscitato Cristo dai morti: “sarò presso di lui nella sventura – prega il salmo – lo salverò e lo renderò glorioso.” Chiunque professa con la bocca che Dio ha risuscitato Gesù dai morti e lo crede nel cuore sarà salvato. La consistenza tra la bocca ed il cuore è evidentemente e fondamentalmente la sincerità della vita. Non necessariamente la coerenza della vita ma la sincerità della vita, quell’atteggiamento interiore di fiducia umile anche quando uno deve ammettere la propria inconsistenza. Ma da cosa è provata questa sincerità della vita? Come si manifesta concretamente nel mio vissuto? Soprattutto nel momento della tentazione. Se veniamo al racconto evangelico di oggi vediamo come Gesù non sia tentato di agire direttamente contro i comandamenti ma contro la sua fiducia nel Padre. La parola seducente – “se sei il figlio di Dio”, piuttosto che “se hai fame” –  è un invito ad affermare sé stessi piuttosto che fare affidamento al Padre. Gesù , inoltre, proprio come ciascuno di noi, non deve lottare semplicemente contro il demonio – che altrimenti avrebbe potuto scacciare come ha fatto molte volte durante il suo ministero. Gesù, deve lottare contro la seduzione che viene dalle circostanze della vita. Per questo ogni tentazione si svolge in uno spazio e in una circostanza differente: la fame nel deserto, la gloria del mondo sulla montagna, l’ebrezza di stare sul punto più elevato del tempio santo di Gerusalemme. Poiché, proprio come accade a noi nella vita, è nelle circostanze concrete che siamo chiamati a vivere la nostra fede nella vita risorta oppure ad appoggiarci a quei compromessi che sembrano tenerci a galla per un momento ma non salvano la nostra vita. Nella tentazione Dio non desidera tanto una prova del nostro amore quanto darcene una del suo. A condizione che perseveriamo nella fiducia. In ogni circostanza, infatti, vi sono due direzioni opposte che si possono prendere, seguendo una Parola che incoraggia o una parola che seduce. La prima – dice San Paolo – è la Parola della fede che ti porta, nelle circostanze della vita che manifestano la tua “debolezza”, ad invocare il nome del Signore, a cercare in lui rifugio, come prega il salmo, a fidarti del fatto che Dio è salvezza, misericordia inesauribile, onnipotenza che tira il bene dal male, grazia che non delude. Poi vi è la parola seduttrice, che cerca di intaccare la tua fiducia nel Padre e che finisce sempre per creare una divisione tra la bocca ed il cuore e quindi a manifestare l’ipocrisia della vita. Essa si può riassumere più o meno in questi termini: soddisfa te stesso, afferma te stesso, dimostra quello che sei. Non serve credere, coltivare la fede, abbandonarsi ad un altro…ci sei tu e le tue forze. Ci sei tu solo e le sole possibilità che conosci. La vita trascorre anche senza fede. Il problema è che una vita senza fede diventa a poco a poco una vita senza nient’atro che il mio io autoreferenziale che si appoggia sulle sue forze. Ogni guerra, in fondo, è una prova illusoria di forze da parte di chi è ormai troppo debole per amare.