Marco 9,3843.45.47-48 Dom. XXVI anno B
Mentre prosegue il suo cammino verso Gerusalemme, Gesù continua la formazione dei suoi discepoli. Domenica scorsa, Gesù insegnava ai suoi discepoli, attraverso la figura di un bambino, l’atteggiamento di servizio verso i più deboli, gli ultimi.
Il vangelo di oggi, chiarifica il contenuto di certe tematiche di attualità nel campo religioso e politico: fanatismo, fondamentalismo, intolleranza, settarismo, integralismo, intransigenza, proselitismo, relativismo, sincretismo…
Il discepolo Giovanni convinto che la sequela di Cristo fosse un’esclusiva del ristretto gruppo dei discepoli, avvisa Gesù che qualcuno scaccia i demoni nel suo nome, senza appartenere al loro gruppo: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”.
Giovanni non dice che quel tipo non seguiva Gesù, ma “non ci seguiva”, cioè non seguiva noi discepoli, manifestando così la convinzione di essere gli unici depositari del bene. Il gruppo dei discepoli pensava di avere il monopolio su Gesù ed era geloso se qualcuno compiva miracoli senza appartenere al loro gruppo. L’orgoglio di gruppo è molto pericoloso.
Nel fondo l’atteggiamento di Giovanni è teso a difendere i propri privilegi, posizioni e convinzioni, nascosti sotto una patina di santo zelo e fervore religioso.
In un’analoga circostanza anche Mosè (1° lettura) dovette intervenire contro la richiesta gelosa e invidiosa di Giosuè. Mosè per poter governare meglio il popolo si faceva aiutare da un gruppo di anziani.  Lui non monopolizza il suo carisma, il suo prestigio, il suo potere, i suoi doni, ma li condivide affinché si moltiplichino. In questo modo, i 70 anziani ricevono lo Spirito di Dio, attraverso Mosè.
Però il giovane Giosuè, si scandalizza, perché nota con sorpresa che lo Spirito si era posato anche su Eldad e Medad, anziani che non erano riuniti con gli altri, ma erano rimasti nell’accampamento.
Di fronte alla stizza e alla gelosa osservazione del giovane, Mosè risponde: “Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito”.
Gesù risponde a Giovanni e agli altri discepoli: “Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi, è per noi”.
Quel che preoccupa Giosuè, come pure Giovanni e gli altri discepoli (forse anche molti di noi) non è la guarigione dei malati e la liberazione dei posseduti dagli spiriti, ma il proprio gruppo, la propria istituzione, il proprio interesse, il proprio potere, il proprio prestigio.
Giosuè e Giovanni  hanno, purtroppo, numerosi seguaci in ogni cultura e religione. Loro amano usare i verbi “impedire, vietare”, ma sono verbi che Gesù non accetta, perché non vuole proibire a nessuno di fare del bene.
Quella di Giosuè e di Giovanni è la tentazione tipica di ogni movimento integralista e di ogni persona chiusa nel suo ghetto. La paura di ciò che è diverso per origine, razza, cultura, religione, provoca sentimenti e atteggiamenti di chiusura, esclusivismo, rifiuto.
La salvezza e la possibilità di fare il bene non sono monopolio di una classe di eletti o di specialisti, ma un dono di Dio, offerto ampiamente ad ogni persona aperta al bene e disponibile a farsi portatrice di amore e di verità. Lo Spirito del Signore ci è dato gratuitamente, ma non in esclusiva: nessuno e nessuna religione può avere la pretesa di monopolizzare Dio, il suo Spirito, la verità o l’amore.
Certamente la risposta di Gesù data a Giovanni, non cambierebbe se colui che facesse del bene fosse un clandestino, musulmano, rom, prostituta, carcerato, drogato…
Il bene, dovunque esso sia e da chiunque fosse compiuto, viene sempre da Dio. Chi aiuta i bisognosi, chi sostiene i deboli, chi conforta i disperati, chi esercita l’accoglienza, chi promuove l’amicizia, chi è pronto al perdono, chi lotta per la giustizia, la pace e i diritti degli uomini, costui viene sempre da Dio.
Dio è presente dovunque c’è amore, bontà, pace e misericordia. Dio sta in quell’assetato a cui viene dato un bicchiere d’acqua, in quell’affamato a cui viene offerto un pezzo di pane, in quel disperato a cui viene rivolta una parola d’amore. Fare il bene è un diritto e un dovere che compete ad ogni uomo.
Sarebbe davvero triste restringere la forza miracolosa della misericordia di Dio nei nostri ristretti schemi e nelle nostre logiche.  Non dice forse Gesù: “il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va”(Gv 3, 8)? 
Il Cristo, il Vangelo, i carismi, il bene e la verità, non sono monopolio esclusivo di nessuno (ne della gerarchia, ne del clero e religiosi, ne dei laici: è di tutti). É l’eterno conflitto tra  Spirito e Istituzione, tra carisma e autorità, tra profezia e struttura, tra religione e fede.
Bisogna essere tolleranti e aperti verso coloro che, fuori della Chiesa, praticano il bene e diffondono i valori del Regno. Dovremmo invece imparare a gioire del bene che vediamo nel mondo, da chiunque viene compiuto e in qualunque parte viene realizzato. Il bene nasce sempre da Dio.
Gesù, oltre a invitarci ad aprirci verso coloro che “non sono dei nostri”, ci insegna come vivere tra di noi, in comunità: “Se la tua mano, o il tuo piede, o il tuo occhio ti scandalizzano tagliali… è meglio entrare monchi nel regno di Dio, che essere gettati sani nella Geenna”.
Non è il diverso o il “non cristiano” che può recare danno alla comunità, ma piuttosto lo “scandalo” causato dal mio modo di agire e pensare, da chi pretende di essere più importante, da chi vuole essere servito, invece di servire. Essere di “scandalo” vuol dire far inciampare, far cadere o far smarrire il cammino di fede dell’altro; significa non sostenere chi è debole e bisognoso di conforto, mettere in pericolo la salvezza dell’altro; disanimare l’altro a non mettere in pratica il vangelo.
Ovviamente Gesù non vuole la mutilazione del nostro corpo, ma ci invita a fare delle scelte di fondo, perché l’amore per gli altri esige sempre qualche taglio, rinuncia: ogni attività (simboleggiata dalla mano), ogni comportamento (piede) o aspirazione (occhio), che cerca prestigio, potere, privilegi, occorre sopprimerla, perché mette in pericolo la propria fedeltà al Vangelo e indebolisce la propria fede e quella degli altri.
Un esempio di infedeltà al vangelo lo troviamo nella lettera di San Giacomo (2° lett.): parla dell’iniqua ricchezza costruita sulle spalle dei poveri fino al punto di non dare il salario agli operai al termine della giornata per mantenere la propria famiglia. Rubare il salario significa rubare la vita stessa del povero.
San Giacomo oggi userebbe termini come sopruso, furto, illegalità, frode, delinquenza, corruzione, speculazione finanziaria: tutti mezzi per aumentare indiscriminatamente la ricchezza in mano di pochi. Per Gesù si tratta di un grave peccato sociale.
Colui che scandalizza un bambino, un povero, una persona semplice e debole della comunità, Gesù sentenzia: “è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare”. Perché tanta severità? Perché Gesù si identifica con i piccoli. Chi li tocca, tocca Gesù.