Domenica delle Palme 2024
San Paolo nella lettera ai filippesi descrive l’innalzamento di Cristo, il cui nome viene innalzato dal padre al di sopra di ogni altro nome, come il punto di arrivo di un cammino di discesa e di umiliazione. La discesa di Gesù consiste nel distaccarsi dalla sua uguaglianza con Dio per assumere la somiglianza con gli uomini. Paradossalmente, mentre l’uomo creato ad immagine di Dio deve ritrovare la somiglianza con Dio, Gesù pur avendo già questa somiglianza con Dio accetta di non tenerla solo per sé. Accetta di distaccarsene. Egli sa bene quanto è preziosa questa somiglianza con Dio ma non la considera un vantaggio da difendere o un possesso da ritenere. Sceglie, invece, di spogliarsi, di assumere la forma umana. Una volta assunta la nostra condizione umana Gesù si abbassa ulteriormente, vivendo la sua vita umana non da dominatore, ma da figlio obbediente fino alla morte. Questa sua libera decisione di vivere non per sé stesso ma per gli altri rivela la qualità di amore che lo animava; un amore libero da qualsiasi possessività e bisogno di dominazione sugli altri.
Per noi è difficilissimo amare senza possessività e senza controllo o dominio sugli altri. Siamo costantemente agitati dalla paura di perdere qualcosa o qualcuno, di essere feriti oppure umiliati, di essere dimenticati o lasciati da parte. Ed è proprio questa paura che impedisce nelle nostre interazioni quella gratuità e quella gratitudine che invece splende nella totale disponibilità di Gesù a donare la propria vita per tutti. Con la sua discesa e spoliazione Gesù ha permesso che la novità e la libertà di questo amore diventassero visibili a partire dal basso, dalla terra, dalla nostra condizione ferita. Per questo Gesù, come il servo descritto dal profeta Isaia, può dare una parola allo sfiduciato, a colui che, ogni mattino, deve imparare di nuovo ad “ascoltare”, cioè a riconoscere negli eventi della vita un senso e una chiamata e quindi ad affidarsi. Ogni mattino, infatti, ci sono delle cose che facciamo fatica ad accettare. Alle volte si tratta semplicemente della fatica della routine quotidiana, altre volte di sofferenze o conflitti che si prolungano e non trovano soluzioni, alle volte si tratta di piccole umiliazioni che non ci sembra di aver meritato.
Il figlio di Dio, nel suo cammino di discesa e spoliazione, parla allo sfiduciato di abbandono, di obbedienza filiale, di umiltà, come un cammino di purificazione che ci rende recettivi all’amore di Dio e quindi capaci di vivere la nostra vita umana come la vivrebbe Dio, proprio come è stato per Gesù. Perché anche noi possiamo ritrovare l’immagine di Dio in noi stessi. Nulla ci può restituire la dignità di figli di Dio e la gioia della salvezza quanto la capacità di amare, non in maniera possessiva e interessata, ma libera e gratuita. Non capiamo la necessità di questo cammino di purificazione perché, troppo spesso, non ci accorgiamo di quanta violenza e aggressività ci sono nel nostro cuore.
È per questo che l’umiliazione del figlio di Dio illumina e parla non solo agli sfiduciati ma anche ai ribelli, a coloro che – si legge in Isaia – gli strappano la barba e lo insultano beffardi. Il Figlio di Dio vincerà la durezza del loro non con la minaccia o la vendetta ma con la sua pazienza e la sua resilienza. L’unica cosa, infatti, che può conquistare un cuore indurito e risvegliare in esso l’amore e la gratuità di chi comincia ad amare prima di essere amato e continua ad amare anche quando è rifiutato e respinto. E tutto questo non per debolezza o necessità ma per una libera scelta. Nel Vangelo, dunque, Gesù mostra un’assoluta padronanza degli eventi. Egli programma con cura l’ingresso a Gerusalemme, prevede esattamente dove i discepoli troveranno l’asinello, sa con precisione che cosa vuole. In questo modo egli manifesta al mondo che la passione che seguirà non l’ha subita passivamente, ma l’ha accettata liberamente e con gioia. D’altro canto, egli non usa in alcun modo il potere di cui dispone oltre lo stretto necessario. Anche l’asinello regolarmente preso in prestito è puntualmente restituito dopo l’ingresso a Gerusalemme. Ciò che risplende, in tutto ciò che Gesù fa, non e’ la sua onnipotenza e la sua onniscienza ma il suo amore semplice e genuino per noi.
Egli ci offre l’esempio di come la nostra umanità può essere vissuta in modo divino. Questa, in fondo, è la grazia che vorrebbe compiersi in noi attraverso il mistero Pasquale: che anche noi impariamo a vivere la nostra vita in modo divino, impariamo ad accogliere ed assumere nella nostra umanità qualcosa della vita divina, qualcosa dell’amore del padre, qualcosa dell’immagine della ritrovata somiglianza con Dio.