Pasqua 2024

Nel Vangelo di Giovanni, dopo la crocifissione, Gesù viene deposto dai discepoli in un sepolcro collocato nel mezzo di un giardino e lì giace addormentato tutto il Sabato Santo. La situazione rievoca il momento iniziale della creazione in cui Dio colloca l’uomo nel giardino dell’eden e fa cadere su di lui un profondo sonno. Al risveglio Adamo torna alla vita ma non più da solo. Dal suo corpo, infatti, Dio ha tratto un’altra vita, quella di Eva, carne della sua carne, ossa delle sue ossa. Una creatura che gli sta di fronte come separata da lui; eppure, al tempo stesso riconoscibile come qualcuno che vive della sua vita e, con la quale, dunque, egli può finalmente vivere in comunione.

Queta capacità di comunione che il peccato vorrebbe continuamente distruggere, come vediamo nelle interazioni di ogni giorno, ci viene continuamente restituita per la vittoria di Cristo sulla morte. Per il mistero pasquale anche noi come Cristo e come Adamo moriamo, ci addormentiamo, per risorgere ad una novità di vita. Gesù dà la sua vita per noi, non solo nel senso che muore per noi, ma più profondamente nel senso che risorge con noi in maniera tale che quella vita divina che prima era nascosta nella sua umanità adesso, spremuta fino all’ultima goccia con la trafittura sulla croce, passa a noi, viene partecipata al nostro cuore per mezzo del suo spirito Santo e diventa visibile nella nostra vita. All’inizio del racconto della passione, nel Vangelo di Giovanni, alla vitalità di Gesù che affronta le guardie, il sinedrio, Pilato e tutti gli altri con grande libertà e determinazione, si contrappone la paura e lo sconcerto dei discepoli più intimi che alla fine lo tradiscono.

Ma ecco che dopo la crocifissione questa sua vitalità comincia a passare nella vita dei suoi discepoli anche i più distanti e timorosi. Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, che fino ad allora si nascondevano e non volevano essere riconosciuti come discepoli del Signore, ecco che trovano il coraggio di andare da Pilato e chiedere il corpo del loro signore per prendersene cura. Questa nuova vitalità che li anima prelude alla nuova creazione che si realizza pienamente con la resurrezione di Cristo. Il risorto ci incontra con la stessa gioia con cui Adamo incontra Eva, e ci chiama a vivere in comunione con Lui se vogliamo, se crediamo. Per questa comunione con Lui noi riceviamo il potere di diventare figli di Dio, di vivere, cioè, la vita divina nella nostra umanità. Passiamo così da una vita morta perché dominata dal vuoto e dalla paura ad una vita piena perché aperta alla vita del cielo, alla comunione con l’amore del padre e quindi alla partecipazione alla vita dello Spirito Santo. Il Vangelo di Marco descrive bene questo passaggio che deve realizzarsi nella vita di ogni discepolo. Marco, infatti, descrive un giovinetto che, al momento dell’arresto di Gesù, fugge nudo lasciando il suo lenzuolo nelle mani delle guardie. Lo stesso giovinetto riappare al sepolcro, come uno vestito di bianco, che adesso prepara le donne all’incontro con il loro signore. Il lui vediamo la nostra trasformazione interiore.

Eravamo morti, cioè persone timide e paurose, incapaci di seguire Cristo, cioè di vivere in termini di verità di amore e di fedeltà, di vivere all’altezza della nostra dignità di figli di Dio. Per la fede nel risorto e la comunione con la sua vita risorta, anche noi possiamo risorgere e vivere come “vivi tornati dai morti”, come persone che non cercano più il compimento della loro vita guardando un sepolcro ma hanno lo sguardo rivolto al cielo e da lì attendono questo compimento. Questo sguardo rivolto alle cose del cielo non è un’alienazione, ma il suo contrario. Se infatti Gesù è veramente risorto e se la stessa resurrezione è il nostro destino allora questa consapevolezza ci rimanda in Galilea, cioè alla nostra vita quotidiana come in luogo in cui riconoscere un’opera di Dio e non semplicemente una sequenza casuale di circostanze senza un disegno. Questo ci invita ad affrontare la vita con piena responsabilità, imparando a distinguere tra ciò che è passeggero e ciò che è essenziale. Ma l’uomo, finché dominato dalla paura della morte, fugge da questa responsabilità, come fuggiva il giovanetto al momento della cattura di Gesù e come fuggivano le donne all’annuncio della resurrezione.

L’annuncio della resurrezione è così al di fuori del nostro modo ordinario di guardare la realtà che non può essere assunto una volta per tutte. Esso piuttosto deve essere custodito nel cuore e confrontato quotidianamente con gli eventi e le circostanze della vita di ogni giorno finché non cominciamo anche noi a riconoscere in quelle circostanze di ogni giorno una presenza: andate in galilea e là lo vedrete come vi ha detto. Allora alla paura di essere inadeguati, di non riuscire a seguire il Signore, si sostituisce la commozione di scoprirsi preceduti dal Risorto. Alla paura di essere giudicati da un Dio esigente si sostituisce lo stupore di un Dio misericordioso che non vuole scoprire la nostra nudità ma solo rivestirla di gloria.