Mc.8,27-35    Dom. XXIV anno.
La prima metà del vangelo di Marco, attraverso l’insegnamento e le opere-miracoli di Gesù, vuole suscitare la domanda “Chi è Gesù?”, mentre nella seconda parte chiarifica che Gesù è il “Figlio di Dio”. Infatti sul calvario il centurione romano, un pagano, affermerà: Veramente quest’uomo era Figlio di Dio.
Dopo la guarigione del sordomuto in terra pagana, raccontata domenica scorsa, Gesù per la seconda volta, aveva moltiplicato dei pani, per 4 mila persone, segno utile affinché i discepoli potessero  capire la missione di Gesù. Ma essi erano come ciechi e sordi a comprendere (il cieco di Betsaida rappresenta i discepoli chiusi nella loro mentalità giudaica)
A Cesarea di Filippo vuole sondare il terreno per verificare l’efficacia del suo operato e della sua predicazione e chiede ai suoi discepoli: “Chi dice la gente che io sia ?. I discepoli riferiscono correttamente le “opinioni” della gente che manifestano, nonostante i miracoli compiuti da Gesù, una grande confusione su di lui: “Giovanni il Battista, altri dicono Elia e altri uno dei profeti”.
Non viene nominato Mosè, al quale era legata l’attesa messianica di Israele. E neppure Elia considerato colui che avrebbe preparato la via al Messia. A nessuno sembra venire in mente che Gesù possa essere il Messia, sebbene le sue opere avevano forti richiami messianici: aveva guarito lebbrosi, ridato la vista ai ciechi e l’udito ai sordi come avevano descritto i profeti riguardo all’operato del Messia.
Ma nel messaggio di Gesù c’era un aspetto incomprensibile e per molti Giudei irritante: predicava che la salvezza era riservata non solo a Israele, ma a tutti, come dono gratuito e non per il merito dell’osservanza di leggi e tradizioni; al banchetto messianico potevano sedersi i pagani, insieme agli oppressi e oppressori.
Però Gesù vuole andare oltre: vuol sapere che cosa pensano i suoi discepoli, se condividono la stessa opinione della gente: “Ma voi chi dite che io sia?”, cioè fino a che punto mi conoscete?
È Pietro che risponde per tutti: “Tu sei il Cristo”. Per Pietro, Gesù non è solo uno dei tanti precursori, ma è il Messia stesso.
Oggi questa domanda è rivolta a noi (abbiamo riflettuto su alcuni suoi miracoli, sul pane disceso dal cielo, sulla forza e autorità della sua parola, ci ha invitato ad ascoltarlo….). Non possiamo eludere questa domanda.
Dopo che Pietro ha parlato, subito Gesù impone silenzio, perché la sua risposta è ancora parziale: saranno gli eventi della croce a svelare la vera identità  e missione di Gesù. Ciò ci fa capire che la volontà di Dio si manifesta attraverso la Parola e gli avvenimenti della vita.
Quindi Gesù annuncia per la prima volta il suo futuro, il suo destino: il Figlio dell’Uomo deve soffrire molto, essere giudicato e ucciso, ma dopo tre giorni risusciterà.
Pietro continua a pensare a un Cristo in termini di trionfo, di gloria e forza; spera in un Messia che avrebbe cambiato la situazione socio-economica del paese, che avrebbe lottato contro l’invasore romano per restituire di nuovo la libertà del popolo eletto, se necessario usando la violenza. Non accetta un Messia perdente, sconfitto.
Invece, Gesù afferma tutto il contrario. Apertamente Gesù rivela ai suoi discepoli il piano di Dio, la “inevitabilità” della sua morte, come l’aveva annunciato il profeta Isaia (1° lettura).
Pietro ha proclamato la sua fede, ma non è disposto a viverla, a metterla in pratica. Per questo che  “prese in disparte” Gesù, per rimproverarlo, quasi per insegnarli come dovrebbe comportarsi il Messia.
Nel fondo Pietro non accetta il cammino della croce, perché è cosciente che se il suo Maestro soffre e muore in croce per obbedire a Dio, anche lui dovrà percorrere lo stesso cammino.
Pietro crede in Dio, ma non vuol collaborare con Dio. Per questo che chi vuole evitare il cammino della croce è una pietra d’inciampo, un ostacolo, uno scandalo.
Allora Gesù, reagisce con durezza, tanto da cambiare un’altra volta il nome di Pietro: “Va dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Mai Gesù disse una frase simile a nessun peccatore, ne ai Farisei e agli Scribi, suoi nemici. È la stessa espressione rivolta a Satana durante le tentazioni nel deserto.
In quel momento Pietro incarna Satana (in ebraico = oppositore, nemico di Dio; in greco, diabolo = colui che divide, confonde, separa). Entrambi, Pietro e Satana, hanno tentato di sviare il cammino di Gesù, proponendogli un cammino contrario alla volontà di Dio.
Dopo che Gesù ha annunciato la sua missione, convoca insieme la folla e i discepoli, per annunciare a loro la strada necessaria per seguirlo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. È la logica del servizio e della donazione totale. Il Cristo non è un’icona, un personaggio storico, un mito, un titolo, ma una missione da accettare e farsi carico.
Il cammino della croce è il cammino che ci conduce a Dio e Gesù ce lo fa percorrere sui sentieri di una società ingiusta, corrotta, violenta, peccatrice. Possiamo comprendere meglio Gesù solo quando accettiamo la sua logica del perdersi e del donare la vita: “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”.
S. Giacomo nella 2° let. ci aiuta a comprendere meglio la nostra fede: “Che giova se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?”. Una fede senza impegno è una fede morta, sterile, che non serve a nulla.
Come domenica scorsa, anche oggi ci viene proposto un esempio molto concreto: molti fratelli vivono nel bisogno. Non possiamo accontentarci di dire loro solo una buona parola. Come comunità siamo chiamati a donare loro un aiuto vero, concreto.
Quindi se la nostra fede non si esprime in opere concrete è pura conoscenza intellettuale, che Giacomo paragona a quella di Satana. Anche Satana crede e sa molto bene che Dio esiste, eppure non compie la volontà di Dio, non pratica l’amore e il bene.
Se la fede non è incarnata nella vita, diventa solo una religione di comodo.

Approfondimento
Il Vangelo di oggi mette in luce come quella cristiana sia l’unica esperienza religiosa in cui la fede dipende non dalla conoscenza di una dottrina ma dalla conoscenza di una persona: Gesù appunto. Nessuno può credere pienamente senza pienamente comprendere “chi sia Gesù”. Il fatto che poi Gesù ponga la domanda mentre lui e i discepoli si trovano per strada mette in luce un altro aspetto dell’esperienza di fede cristiana: essa non è mai una certezza definitiva ed acquisita ed essa non dispensa mai dal rimettersi in cammino e quindi in un certo senso dal rimettersi in questione. Se uno accetta il rischio di mettersi in cammino dietro a Gesù si rende conto sempre meglio – come Pietro – che Lui è davvero il Messia cioè uno che può portare a compimento i desideri più profondi del cuore. Rendersi conto di questo significa relativizzare ogni meta che uno possa raggiungere su questa terra per dare importanza invece al fatto di restare “dietro di lui” cioè di conservare nella vita una direzione conforme a quella da Lui indicata. Non è raro, infatti, prendere una direzione nella vita che appare vantaggiosa per sé stessi ed anche buona per poi rendersi conto alla fine che essa non compie “i desideri del cuore”. Uno che vuol camminare come se fosse colui che decide quale direzione dare alla propria vita può avere l’impressione “di salvarla” per poi invece rendersi conto che l’ha persa oppure che ha perso sé stesso. Lo stesso Pietro, pur avendo intuito correttamente che Gesù è il messia, nel momento in cui pensa di decidere da sé stesso come “salvare” la sua vita e quella dello stesso Gesù si trova in piena contraddizione con la fede che il Padre gli ha rivelato. Anche Giacomo, nella seconda lettura, dovrà, proprio come Gesù, interrogare i discepoli e rimproverarli: a cosa serve la vostra fede? Essa è morta oppure è viva? Questa fede, insomma, sta salvando la vostra vita oppure la lascia nella sua condizione naturale di morte? Questo rimprovero non deve stupire. Il cammino umile del credente è un cammino di resurrezione in resurrezione proprio perché la sua fede tende a spegnersi in questo mondo. Occorre risorgere ogni giorno ritrovando ogni giorno la direzione del cammino indicata da Gesù. Ma permettersi in cammino occorre riconoscere che la nostra vita così come è non è già salvata e non è salvabile. Essa è bisognosa di salvezza. Non si tratta di salvare la vita in generale ma ogni singolo giorno della nostra vita perché ogni giorno Gesù chiama a prendere la propria croce e seguire lui. Che questa nostra vita sia necessitosa di salvezza non è affatto ovvio nella logica umana. Quando infatti Gesù dice che sarà rifiutato dagli anziani, dai sacerdoti e dagli scribi praticamente sta dicendo che il tipo di fede che Egli ha portato sulla terra sarà spesso giudicato come “irrilevante” se non fastidioso da qualsiasi “autorità” terrena: politica (gli anziani), religiosa (i sacerdoti) e culturale (gli scribi). Ma per continuare a credere senza l’appoggio di un’autorità mondana devo potermi appoggiare a qualcuno che ha vinto il mondo. Certo vi è la fede della Chiesa che ci sostiene ma anch’essa, proprio come la fede di Pietro nel Vangelo, dovrà essere purificata in ogni epoca. In ogni tempo Gesù non cessa di rimproverare la sua chiesa come ha rimproverato Pietro: “torna dietro a me perché ti sei messo dalla parte di satana e pensi secondo gli uomini”. Per chi crede che la storia è guidata dal risorto il fatto che la Chiesa sia “sbattuta in prima pagina” non è un disastro ma un salutare rimprovero che umiliandola le permetterà di ritrovare la sua posizione di discepola che segue il Signore piuttosto che inseguire il mondo. La fede che salva non è comunque il privilegio di pochi eroi del sacro ma la grazia fatta a chi accetta il rischio di rimanere dietro a Gesù quando tutto suggerirebbe di prendere una strada più comoda ma non vitale. Cosa significa concretamente “rimanere” dietro a Gesù? Lo spiega lui stesso con brevi parole: chi vuol venire dietro a me prenda la sua croce ogni giorno. Ognuno comprenderà nel tempo il senso compiuto di questo invito ma in generale esso implica l’accettazione della realtà quotidiana anche nei suoi aspetti contraddittori: anche le cose che ti fanno soffrire, le cose che ti fanno vergognare, le cose che ti fanno arrabbiare. Accettarle – cioè prendere come la propria croce – non significa né subirle né approvarle. Significa viverle responsabilmente cercando di orientarle al bene. Questo però a partire dalla fede. A partire cioè dalla consapevolezza che nella realtà che sto vivendo non vi è solo la malevolenza degli altri e l’ostilità delle circostanze ma vi è uno che ha già percorso il cammino che conduce oltre la morte, che è vivo accanto a me e che mi conduce con sicurezza verso ciò che salva la mia vita e riempie il mio cuore: Dio mi assiste – dice il profeta Isaia – per questo so che non resterò confuso, non sarò deluso, non sarò giudicato colpevole.