Mc.6,1-6  XIV  Anno B
Questo brano del Vangelo ci racconta del rifiuto da parte della gente di Nazaret verso Gesù, perché ritenevano di sapere tutto di lui, anche se non comprendevano da dove gli venisse la forza risanatrice delle sue mani.
Anche Ezechiele ha fatto la stessa esperienza. Infatti, quando all’inizio del sec. VI a.C., i babilonesi trascinarono il popolo d’Israele in schiavitù a Babilonia, Dio non lo abbandonò. Israele era un popolo di “ribelli” e di “figli testardi e dal cuore indurito” (1° lettura). Il Signore inviò loro Ezechiele perché sapessero che in mezzo a loro si trovava un profeta. Nel suo libro, Ezechiele racconta quanta fatica fece per farsi accettare e ascoltare. Ezechiele anticipa profeticamente ciò che succederà al Messia, che sperimenta, anche lui, l’incomprensione e il rifiuto.
Gesù ha lasciato la casa di Giairo, con i suoi discepoli per far ritorno “nella sua patria”. Marco non specifica che si tratta di Nazareth, ci dice soltanto che Gesù entra nella sinagoga a insegnare. Evita di parlare di Nazareth perché il rifiuto che sperimenta Gesù non si riferisce solo a Nazareth, ma si estende a tutta la nazione di Israele.
Quando raggiunge la sua terra, nessuno gli va incontro, come era successo in altre parti e in altre occasioni. Si dirige nella sinagoga, di sabato, a insegnare. Nonostante la gente provasse stupore per il suo insegnamento, che era molto differente da quello degli scribi (Mc.1,21-22), alla fine non riconosce la sua autorità.
Quando gli abitanti di Nazareth parlano di lui, non pronunciano mai il suo nome, ma utilizzano solo dei pronomi dispregiativi per indicare la sua persona e la sua attività: “non è costui…
Con 5 domande, Marco descrive il rifiuto della sua gente, che non riesce ad accettare l’origine e la condizione di Gesù. Per questo si scandalizzano: non comprendono come Gesù, che ha vissuto nel paese, lo hanno visto crescere e conoscono i suoi familiari, sia l’inviato di Dio, il Messia che stavano aspettando.
Pensavano che un profeta dovesse avere qualcosa di straordinario e prodigioso. Invece Gesù si presenta come un uomo troppo normale, senza nulla che potesse essere distinto da tutti gli uomini.  Non era un intellettuale, nè possedeva il potere sacro dei sacerdoti del Tempio, non aveva studiato presso nessuna scuola rabbinica, non era membro di una famiglia d’elite. Era solo un falegname.
È lo scandalo dell’incarnazione: un Dio che si è fatto carne come noi, che lavora e agisce con mani d’uomo, ama con cuore d’uomo, un Dio che fatica, mangia e dorme come uno di noi. Secondo gli abitanti di Nazareth, Dio è troppo grande per abbassarsi attraverso un uomo così semplice e conosciuto da tutti loro. Credevano di conoscere quel bambino divenuto adulto, per questo non lo accolgono come l’inviato da Dio. Erano bloccati dall’idea del passato e hanno rifiutato di aprirsi al mistero che era presente in lui.
Se avessero accolto Cristo come profeta, avrebbero dovuto accogliere e ascoltare il suo insegnamento.
E ciò poteva creargli problemi: infatti, essi avevano la loro sinagoga, i loro libri sacri, conoscevano le loro abitudini e tradizioni che osservavano con rigore. Insomma vivevano in pace la loro religione. L’annuncio di Gesù poteva infrangere la loro tranquilla vita del villaggio. E preferirono rifiutarlo.

Inoltre il loro atteggiamento ostile contro Gesù era motivato anche da un’altra ragione.
Considerato che Gesù aveva screditato i teologi officiali, cioè gli scribi (Mc.3.1-6), questi incominciarono a diffondere tra la gente una calunnia contro di lui: dicevano che operava esorcismi per mezzo del principe dei demoni, Beelzebul (Mc.3,22) e che è posseduto da uno spirito impuro (Mc.3.22). Il popolo, sottomesso alle opinioni delle autorità religiose, credeva ciecamente agli scribi. Poi si sa che i pettegolezzi si diffondono subito.
Per questo, oltre al rifiuto aggiungono un certo disprezzo e offesa: lo chiamano “il figlio di Maria”.
In quella cultura, un figlio era sempre chiamato con il nome del padre, anche quando il padre era morto: il figlio conservava sempre il nome del padre. Quindi, la gente avrebbe dovuto dire: “non è il figlio di Giuseppe?”, invece ignorano il padre. Affermare che qualcuno è figlio di sua madre, significava che la paternità era dubbiosa e incerta.
Questo rifiuto non è certamente per Gesù una novità o una sorpresa. Esisteva un proverbio: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. Viene alla mente il Prologo di Giovanni: “Venne a casa sua e i suoi non lo accolsero” (Gv.1,11)
I pregiudizi della sua gente non hanno dato a Gesù la possibilità di compiere la sua attività, se non di imporre “le mani su a pochi malati e li guarì”. Gesù non fa miracoli perchè la comunità di Nazareth non crede.
Da quel momento, Gesù non entrerà più in una sinagoga: non c’è speranza per coloro che si lasciano sottomettere alla tradizione e all’opinione degli altri, anche se erano autorità religiose, le quali, sebbene si consideravano i rappresentanti di Dio, non sapevano riconoscere Dio che si manifesta nel presente.
Nella sinagoga, gli abitanti di Nazareth, si aspettavano la conferma di ciò che già sapevano e delle loro convinzioni. Quando però scoprono che le parole di Gesù sono scomode, richiedono impegno e sconvolgono le loro tradizioni, non riescono ad accogliere il suo messaggio e lo rifiutano, perché non hanno il coraggio di aprire il loro cuore e non sono disposto a cambiare le loro abitudini.
Anche oggi, noi cristiani possiamo avere lo stesso atteggiamento nei confronti di Gesù, rifiutandolo o lasciandolo al margine della nostra vita, evitando che parli e agisca in noi, permettendo che la sua Parola ci interpelli. Basta vivere una religione del ritualismo, del formalismo, del tradizionalismo. Dio può diventare un’abitudine e c’è il rischio che non sentiamo più Dio che parla: ci siamo abituati a lui, che non ci dice piè niente.
Era per loro motivo di scandalo”. Scandalo significa essere pietra d’inciampo. Gesù è percepito non come un aiuto, ma come impedimento. Noi cristiani, diventati adulti, sentiamo che la nostra fede in Cristo ci sta stretta, come se fosse un impedimento alla nostra felicità. Restiamo attaccati a qualche conoscenza del catechismo che abbiamo ricevuto da bambini, senza più approfondire e alimentare la nostra fede. Abbiamo solo sviluppato qualche pregiudizio nei confronti della religione, della comunità cristiana, come scusa per non impegnarci, per non lasciarci interpellare dalla Parola. Allora diventa più facile ammettere di essere increduli, che non significa pensare che Dio non esiste, ma credere che Dio sia solo ciò che abbiamo in testa su di Lui.
Il Signore non potrà entrare e agire nella nostra vita se non apriamo il cuore al suo messaggio.