Mc.5,21-43 XIII anno B
Nel vangelo di oggi Marco narra due guarigioni: quella della donna che soffriva perdite di sangue e quella della figlia di Giairo. Una soffriva da “dodici anni”, l’altra morta all’età di “dodici anni”.
Entrambe vengono definite non per quello che sono, ma per come gli altri le vedono: una conosciuta per la sua malattia, impropriamente chiamata “emorroissa” e l’altra una fanciulla morta conosciuta come la “figlia di Giairo”.
Due donne che si dissanguano, per mancanza d’amore. Rappresentano la situazione del popolo d’Israele sottomesso alla legge (fanciulla morente) e il popolo escluso dalla legge che vive una situazione di emarginazione e d’impurità (emorroissa).
Due guarigioni incastonate tra loro, allo stile sandwich., che vogliono presentare Gesù come colui che si avvicina alle nostre situazioni di sofferenza e di morte.
Il capo della sinagoga, Giairo, in ginocchio supplica Gesù di guarire sua figlia morente. Nonostante fosse il capo della sinagoga, luogo di culto della religione giudaica, non ha trovato in essa la salvezza per sua figlia.
Gesù accetta di accompagnare Giairo a casa sua. Durante il percorso, una donna, che soffriva perdite di sangue, vuole toccare il mantello di Gesù, perché era convinta di poter guarire con questo suo gesto.  Nella cultura di quell’epoca, il sangue significava vita. Questa donna sta perdendo la vita e quindi destinata a morire.
Nel frattempo arriva la notizia della morte della figlia di Giairo. Tutte le sue speranze sono sfumate. Giunti alla casa, Gesù entra nella stanza della fanciulla che tutti consideravano “morta”. Gli prende la mano e la rialza.

Il padre della fanciulla, viene presentato innanzitutto dal suo ruolo di “capo della sinagoga”. La sua vita è valorizzata per quello che fa e non per quello che è. È prigioniero del suo ruolo. Spesso anche noi valutiamo le persone per il loro ruolo, senza pensare all’umanità, ai limiti, ai desideri, le insicurezze che possono vivere ogni giorno.
Sua figlia soffre questa situazione del padre. Ha 12 anni, età nella quale in Israele si diventa donna adulta, da marito, invece è ancora rinchiusa nella casa paterna. No possiede un nome proprio ed è riconosciuta come “la figlia di..” Viene trattata ancora come una “bambina” (“la mia figlioletta”) da suo padre come se fosse di sua proprietà. L’ambiente in cui vive e l’educazione ricevuta, hanno fatto di lei una copia delle idee e dello stile di vita dei propri genitori. Vissuta sotto una campana di vetro di protezioni, di vigilanza e di premure, questa fanciulla non ha mai imparato a prendere le proprie decisioni, a credere in se stessa, ma si adattava, “tirava avanti” dipendendo sempre dal padre.
La sua era una vita soffocante, malaticcia. Giairo non si è mai reso conto che se sua figlia sta male è perché lui è la causa. Non si può aver voglia di vivere se si vive la vita di altri. Ci sono vite che dissanguano in matrimoni falliti da tempo, dove l’amore non è più di casa; persone che subiscono lavori che non hanno scelto, giovani in difficoltà per metter su famiglia per la crisi lavorativa ed economica.
Gesù dice a Giairo: “Non temere, soltanto abbi fede”, Infatti quando Gesù entra nella stanza della fanciulla che tutti considerano “morta”, la prende per mano. Non era lecito per la legge toccare un morto. Questa trasgressione di Gesù ci insegna che bisogna toccare la disperazione delle persone per dargli la forza di rialzarsi. Gesù è una mano che ti prende per mano. Una mano che la rialza da una situazione di prostrazione, delusione, dipendenza affinché sia se stessa, cammini con le proprie gambe, scelga la direzione da dare alla propria vita e sia felice. “Talità kum: fanciulla, io ti dico, rialzati”. Gesù può aiutarla, sostenerla, incoraggiarla, ma è soltanto lei che può risollevarsi, alzarsi e camminare. A ciascuno di noi, qualunque sia la situazione di dolore che si porta dentro, qualunque sia la situazione di morte che sperimenta, il Signore ripete: “Talità Kum”.
Gesù non guarisce solo la figlia, ma anche suo padre, perché vivono un problema relazionale. Solo se la fanciulla muore al padre, la figlia di Giairo può vivere.

Secondo la mentalità biblica, la malattia presente in una persona è uno spazio rubato alla vita e occupato dalla morte. Un malato, dunque, è occupato dalla morte in proporzione della gravità della malattia che ha. Quella parte della persona che è occupata dalla morte è chiamata “impurità”: impura era la persona malata, impuro era il cadavere. La donna “affetta da emorragia” è impura, come impura è la figlia di Giàiro perché “morta”. Gesù ha il potere di annullare l’impurità umana perché ha il potere sulla vita e sulla morte. Per questo motivo guarisce la donna e rivivifica la bambina.
Al tempo di Gesù dire “donna” voleva dire “male”. Ancora oggi gli Ebrei recitano nella triplice preghiera quotidiana: “Ti ringrazio Signore che non mi ha creato donna”. La donna era considerata un essere subumano. Per questo ancora diciamo ai novelli sposi: “Auguri e figli maschi”.
Oltre ad avere una malattia inguaribile, questa donna era anche impura e quindi impossibilitata a rivolgersi a Dio. Infatti la legge dichiarava impura una donna che aveva perdite di sangue e tutto ciò che toccava diventava impuro (Lv.15,19-27).
Non poteva avere rapporti col marito, perché l’avrebbe infettato e reso impuro e quindi destinata ad essere infeconda e col rischio di essere ripudiata; se non era maritata, nessun uomo l’avrebbe sposata. Era una donna da evitare. Era paragonata a un lebbroso.
Solo Dio potrebbe guarirla ma, in quanto impura, non poteva andare al Tempio.
Lei sapeva che non poteva mescolarsi tra la folla, né toccare Gesù, perché avrebbe contaminato tutti. La sua unica possibilità di salvezza consisteva nel trasgredire la legge, col rischio di essere lapidata. Infatti se osserva la legge, lei è destinata a morire, se invece la trasgredisce ha una speranza di vita. In Lv.28 ci sono 52 maledizioni di Dio per chi trasgredisce la legge (trasgredire significa “andare oltre”. La vita è “andare oltre”, rimanere fermi è morire. “Andare oltre” è fare una strada che nessuno ha ancora fatto e scegliere una via che nessuno ha compiuto).
Eppure lei trasgredisce la legge toccando il mantello di Gesù … e non le accade nulla, se non che guarisce. Soffriva la mancanza del “toccare”, di comunione. I discepoli e la folla sono accanto a Gesù, ma non lo seguono. Anche se lo toccano, nessuno di loro sperimenta la forza sanatrice di Gesù.
Ciò può succedere anche a noi: siamo vicini a Dio ma non ci tocca niente, non lasciamo che la sua “vita, forza, energia” ci tocchi, ci guarisca, ci faccia vivere.
Allora Gesù cerca la donna, perché vuole un incontro personale con lei. La donna confessa la sua situazione, ma Gesù è interessato alla sua fede: “La tua fede ti ha salvata
Per la religione questa donna ha compiuto un sacrilegio, mentre per Gesù ha compiuto un atto di fede.
C’è modo e modo di “toccare” Gesù, di accostarsi a Lui. Possiamo farlo nei sacramenti, nell’ascolto della Parola e attraverso l’incontro con le persone bisognose e povere. Tuttavia l’incontro autentico, avviene soltanto tramite la fede: solo questa ci fa “toccare” Gesù e ricevere da Lui un flusso di vita.
Gesù non manda la donna al Tempio per offrire due piccioni, com’era previsto per la purità, ma gli dice “Va in pace”, cioè sii felice, guarita, vivi in pienezza e soprattutto “Sta tranquilla, Dio è con te”.