Marco 14,12-16.22-26 Corpus Domini Anno B
All’inizio della Chiesa, il Corpo del Signore non era l’eucarestia, ma l’assemblea. Per questo ancora oggi, si incensa Dio presente nel vangelo, nel pane eucaristico e nell’assemblea stessa. L’eucarestia era detta “corpo mistico”. Con il trascorrere degli anni le cose sono cambiate e la “cena del Signore” è diventata l’eucarestia come viene oggi celebrata.
Ogni giovedì santo ricordiamo l’istituzione dell’eucarestia. Quindi, perché istituire la festa del Corpus Domini? È una festa che non ha come oggetto un evento della vita di Cristo, ma una verità di fede: la reale presenza di Gesù nell’eucaristia. L’intenzione della chiesa è stata quella di proporre, fuori dal Triduo pasquale, la contemplazione e l’adorazione del mistero eucaristico.
Questa festa è nata per arrestare certe idee scorrette che si diffondevano tra il popolo. Nel 1215, il IV concilio Lateranense aveva ufficialmente dichiarato la dottrina della transustanziazione.
Nel secolo XI, Berengario di Tour, negava la transustanziazione e la presenza reale di Gesù nel pane e vino consacrato. Per lui l’eucaristia è solo pane benedetto. Nel secolo XII, Tanchelmo, nelle Fiandre affermava che i Sacramenti e specie l’eucarestia non avevano nessun valore.
Nel frattempo P. Pietro di Praga, che aveva forti dubbi sulla reale presenza di Cristo nell’eucaristia, decise di fare un pellegrinaggio a Roma per visitare la tomba degli Apostoli. A Bolsena, nel 1263, celebrando la messa, nel momento della consacrazione, l’Ostia iniziò a sanguinare. Comunicò l’accaduto al papa Urbano IV, che istituì la festa del Corpus Domuni l’anno seguente.
Da quel momento la devozione eucaristica fiorì, sorsero le grandi processioni per le strade, sulle quali venivano collocati tappeti floreali dove passava il corteo.
Questa festa suscitò perplessità ed opposizione nelle chiese e tra i teologi: infatti nella Scrittura non si parla mai di adorare il pane eucaristico, ma di mangiarlo. Nel 1314, papa Clemente V dovette intervenire con autorità per fare applicare tale festività.
La festa del Corpus Domini, seppure istituita dalla Chiesa 8 secoli fa, affonda le radici in alcuni episodi dell’A.T. e soprattutto nell’Ultima Cena di Gesù con i discepoli.

Vangelo: quando Gesù siede a tavola per l’ultima cena con i suoi discepoli, compie dei gesti significativi. Nei profeti il gesto dello spezzare il pane significava condividerlo con i poveri, i bisognosi e gli affamati (Is.58,7) creando comunione tra quelli che mangiavano lo stesso pane. Ecco perché i primi cristiano chiamavano l’Eucarestia “frazione del pane”.
Le parole che accompagnano il gesto: “Prendete, questo è il mio corpo… Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti” esprimono la volontà di Gesù di donarsi totalmente ai suoi discepoli, i quali, mangiando quel pane e bevendo dal calice, imparano ad assimilare il suo modo di vivere, ad impegnarsi e a mettersi al servizio degli altri, a farsi pane per gli altri.
Se l’alleanza sinaitica (1°lett), fondata sull’offerta sacrificale di animali, era un’alleanza più volte trasgredita e rotta con il peccato del popolo, con Gesù, l’alleanza è nuova e definitiva perché fondata sull’offerta che Dio fa per noi. È Dio che sacrifica il proprio Figlio per entrare in comunione con noi e chiede all’uomo di mangiare e di bere, cioè accogliere il suo dono e di farlo proprio.
L’evangelista sottolinea che “Bevvero tutti” per indicare che il dono di Gesù è per tutti, nessuno escluso. Anche Giuda, il traditore ne bevve. L’amore di Gesù non si merita: è un dono gratuito.
L’eucarestia è la narrazione in parole e gesti dell’amore di Dio, è la sintesi di tutta la vita di Gesù Cristo, la sintesi della storia di salvezza.

La Chiesa vive dell’eucarestia. La Chiesa fa l’eucarestia e l’eucarestia fa la Chiesa. È  impossibile essere cristiani senza l’eucarestia. È il modo come Gesù vuole rimanere tra di noi, nel segno del pane e del vino. Tutto il suo corpo, la sua storia appassionata d’amore per ciascuno di noi è lì presente in quel pezzo di pane, da mangiare. Peccato che a questo pane ci siamo abituati e, a volte, non ci dice più nulla.
Eppure si percepisce ancora una certa spiritualità che fa passare l’idea che la comunione eucaristica sia il premio dei buoni, la ricompensa dei puri e santi, sebbene Gesù abbia detto: “Non sono i sani che non hanno bisogno del medico, ma i malati” (Lc.5,31). Curato d’Ars: “Non dite che siete peccatori, che avete troppe miserie, e che perciò non osate accostarvi alla santa Comunione. Sarebbe come dire che siete ammalati e che perciò non volete né medici né medicine”.
Se l’Eucarestia fosse un premio per i giusti, certo nessuno oserebbe riceverla. Ma essa non è il pane degli angeli, è il cibo offerto agli uomini pellegrini sulla terra, peccatori, deboli, stanchi, bisognosi d’aiuto. A chi fa la comunione non viene richiesta la perfezione morale, ma la disposizione del povero che riconosce la propria indegnità e la propria miseria e si avvicina a colui che lo può guarire”. (F. Armellini).
Il “fate questo in memoria di me”, parole di Gesù ripetute in ogni celebrazione, vogliono indicare che occorre sforzarsi a vivere come Cristo, che ha speso la sua vita “beneficando tutti”, che si è messo al servizio di tutti fino a donarsi totalmente sulla croce.
Carlo Maria Martini: “Pertanto la celebrazione eucaristica realizza se stessa quando fa in modo che i credenti si donino “corpo e sangue” come Cristo per i fratelli”.
Quindi mangiare la carne di Gesù, mangiare Gesù che si fa pane, significa dichiararsi disposti ad essere mangiati dagli altri, cioè si mangia Gesù Eucaristia perché si è disposti a farsi pane per gli altri, mettere la propria vita al servizio degli altri, al bene degli altri.

«Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità. Colui che ha detto: “Questo è il mio corpo”, confermando il fatto con la parola, ha detto anche: “Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare” e “ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più piccoli fra questi, non l’avete fatto neppure a me.  Impariamo dunque a pensare e a onorare Cristo come egli vuole. Infatti l’onore più gradito, che possiamo rendere a colui che vogliamo venerare, è quello che lui stesso vuole, non quello escogitato da noi.
Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d’oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima sazia l’affamato, e solo in seguito orna l’altare con quello che rimane. Gli offrirai un calice d’oro e non gli darai un bicchiere d’acqua? Dimmi: se vedessi uno privo del cibo necessario e, senza curartene, adornassi d’oro solo la sua mensa, credi che ti ringrazierebbe, o piuttosto non s’infurierebbe contro di te? E se vedessi uno coperto di stracci e intirizzito dal freddo, e, trascurando di vestirlo, gli innalzassi colonne dorate, dicendo che lo fai in suo onore, non si riterrebbe forse di essere beffeggiato e insultato in modo atroce? Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell’edificio sacro. Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni. Non chiudere il tuo cuore al fratello che soffre. Questo è il tempio vivo più prezioso di quello» (San Giovanni Crisostomo, IV sec. d.C.).
Autori consultati: Armellini, Ronchi, Squizzato e altri.