Gv. 20,1-9: Pasqua anno B
La fede dei primi discepoli nasce dall’incontro personale con il Gesù Risorto. Coloro che non hanno avuto questa esperienza con il Risorto, si fidano della testimonianza dei primi discepoli. Come noi. Nel vangelo di oggi si percepisce grande movimento, trambusto, inquietudine, agitazione, ricerca ansiosa da parte della chiesa nascente che cerca di capire e comprendere i segni del Risorto.
Quindi i personaggi di questo vangelo simboleggiano la comunità cristiana, avvolta dall’oscurità del dubbio, dell’incertezza, dal timore, che intraprende i primi passi del suo cammino di fede nella Risurrezione, di comprendere una vita capace di superare la morte.
Infatti Maria, da sola, va al sepolcro di buon mattino, “quando era ancora buio”. Era buio fuori, ma soprattutto nel suo cuore. La mancanza di luce materiale esprime la mancanza di luce interiore. Ci ricorda l’oscurità  che avvolgeva la chiesa che stava vivendo una situazione di disorientamento, di turbamento, di confusione. Lei si reca al sepolcro con l’idea che la morte ha trionfato, che tutto è finito, senza accorgersene che “il primo giorno” è iniziato.
L’evangelista inizia il racconto della Risurrezione tenendo presente il Libro della Genesi dove si parla della creazione: “E fu sera e fu mattina, il primo giorno”. L’evangelista vede in Gesù la pienezza della creazione. Quindi il primo giorno della settimana è il primo giorno della nuova creazione, una creazione dove la morte non esiste.
Ma questo primo giorno della settimana è il giorno che viene dopo il sabato. Maria di Màgdala ha atteso che fosse passato il sabato, giorno di precetto rigoroso, nel quale non si poteva fare nessuna attività, e non si poteva percorrere più di qualche centinaio di metri, per andare al sepolcro. L’osservanza della legge ha rallentato l’esperienza del Cristo risorto. Chi vive sotto la legge non può percepire la pienezza di vita che palpita in Gesù.
Giunta al sepolcro, Maria scopre che la pietra è stata rimossa. Non vede angeli, ne ha visioni. Non entra nel sepolcro, si allarma e corre subito ad avvisare “Simon Pietro e l’altro discepolo, quello che Gesù amava”. Ciò significa che aveva contatti con loro.
Ai due discepoli non dice che la tomba è stata rimossa (segno di vita), ma “hanno portato via il Signore” (segno di morte) e aggiunge: “Non sappiamo dove l’hanno posto”. Maria sta rispecchiando la situazione della comunità disorientata, che barcolla nel dubbio della fede.
L’evangelista mette in scena “due” discepoli con lo scopo, probabilmente, di convalidare la testimonianza della donna, priva di valore giuridico, secondo il diritto giudaico che, invece, richiedeva per la sua validità la presenza di due testimoni maschili. Non ci avvisa dove siano stati finora i due discepoli, ma ci indica dove stanno andando.
La loro corsa esprime l’ansia di ogni discepolo, di ogni comunità, che cerca il Signore. Anche noi forse dobbiamo riprendere a correre. La nostra andatura è diventata troppo lenta, forse appesantita dall’amore per noi stessi, dal timore di dover abbandonare abitudini ormai ingessate. Bisogna riprovare a correre, lasciare quel cenacolo dalle porte chiuse e andare verso il Signore.
Al sepolcro giunge per primo il discepolo amato. Non vi entra, vede solo le bende per terra. Considerato il valore di quella stoffa, già si esclude un intervento di saccheggiatori di tombe, i quali avrebbero preso le bende e non il cadavere.
Quando arriva Pietro, lui entra e osserva un ordine perfetto: le bende stavano al loro posto come svuotate del corpo di Gesù e il sudario “ripiegato in un angolo a parte”. Per cui non c’era stata né manomissione né trafugamento. Poi vi entra anche l’altro discepolo e “Vide e credette”, annota il Vangelo.
Questo “gioco di precedenze” si trova anche nel cap. 21, nell’episodio della pesca miracolosa: il primo che riconosce Gesù è il discepolo amato, però quello che si butta nell’acqua per raggiungere Gesù è Pietro. Probabilmente questi due discepoli simboleggiano le due forme che sono e devono essere presenti nella Chiesa: l’autorità (dimensione istituzionale) e la profezia (dimensione carismatica).
L’evangelista gioca sul verbo “vedere” per descrivere il lungo cammino di fede della comunità: il vedere di Maria (blepô) che indica uno sguardo superficiale e che trova difficoltà a comprendere; poi il vedere (theôreô) di Pietro che è più attento e riflessivo e infine il vedere (horaô) del discepolo amato che riflette e che si apre al mistero (un vedere spirituale).
Per vedere, per percepire la Risurrezione di Gesù non basta la vista fisica, ma occorre un’esperienza interiore.
Con questa scena, l’evangelista ha descritto l’itinerario tormentato di fede della comunità, che si domandava: se Cristo è risorto, come si può sperimentarlo? che rapporto occorre instaurare adesso con Lui? dove si può incontrarlo? Inoltre la comunità riteneva indispensabile fare la stessa esperienza dei due discepoli per credere nel Risorto.
L’evangelista risponde che non è necessario, perché anche il discepolo amato credette senza avere avuto un incontro personale, che è certamente l’ideale, ma che vide semplicemente dei segni della Risurrezione nel sepolcro e ha creduto. Saranno stati certamente fortunati i primi discepoli che hanno visto il Signore Risorto, ma per Giovanni sono “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno”.
Inoltre, lui stesso, è giunto alla fede nella Risurrezione riflettendo la Parola di Dio (A.T.), nella quale si legge che Gesù doveva risuscitare dai morti.
La Risurrezione di Gesù ha suscitato nei primi cristiani agitazione, ricerca, inquietudine. Oggi, la Pasqua che tipo di movimento crea nella Chiesa e nella nostra vita?
Buona Pasqua.

Autori consultati: Maggi, Bianchi, Fausti, Farinella, Castillo e altri