Gv. 12,20-33. V Quaresima B
Gesù è appena entrato trionfalmente in Gerusalemme, accompagnato da una folla esultante. Pochi giorni dopo celebrerà la sua ultima Pasqua. Tra i pellegrini giunti a Gerusalemme per il culto nel Tempio, c’erano anche dei Greci, stranieri pagani, simpatizzanti della religione ebraica, “timorati” di Dio. Questi vogliono vedere Gesù (non chiedono: “parlateci” di Gesù). Eppure Gesù era ben visibile, l’avevano davanti agli occhi. Non si tratta di curiosità, d’incontrare una persona famosa del momento, ma sarebbe più logico pensare che volessero parlargli, conoscere la sua identità e il suo messaggio. Per Giovanni “vedere” è il primo modo per arrivare alla fede.
I Greci non si rivolgono direttamente a Gesù, perché sanno che un ebreo non poteva parlare con un pagano, altrimenti non avrebbe potuto celebrare la Pasqua imminente. Per questo rivolgono la loro richiesta a Filippo, un galileo di Betsaida, città confinante con le nazioni pagane e di diverse culture. Betsaida (luogo di pesca) allude all’attività in missione.
Filippo è un nome greco, come quello di Andrea (colui che aveva accolto l’invito di Gesù: “Venite e vedete”:1,39). I due discepoli, insieme, vanno da Gesù per riferirgli la proposta dei Greci. I pagani giungono a Gesù non per conoscenza diretta, ma attraverso la predicazione degli apostoli. L’evangelizzazione dei pagani non dipende dall’iniziativa individuale, ma dalla comunità dopo aver consultato il Signore. Passando attraverso la comunità si può giungere a Gesù.
Non sappiamo se i Greci sono riusciti a incontrarsi con Gesù, perché Lui quando interviene non parla direttamente a loro, ma si rivolge ai suoi discepoli. L’evangelista li fa uscire subito di scena: un espediente per poter far “vedere” Gesù ai suoi lettori, cioè a noi oggi.
La richiesta dei Greci fa capire a Gesù che è giunta “l’ora” di dare la sua vita per tutti. Quindi per Gesù è giunto il momento di rivelare, attraverso la croce, l’amore del Padre a tutta l’umanità. Ancora pochi giorni e poi tutti, compresi i pagani, potranno vedere nel Crocifisso innalzato la gloria di Dio, che aprirà la via della salvezza a tutte le genti.
L’intervento di Gesù serve per far capire come Lui stesso vuole essere visto: descrive il suo volto, la sua identità, il suo essere Messia. Usa un’immagine agricola, quella del chicco di grano che muore sotto terra, per evidenziare la fertilità di una vita donata per amore. Non è un’immagine che esprime potere, fama, successo, applausi, ma la potenza di vita che il chicco racchiude in se stesso, quando cade in terra, muore e marcisce per dare frutto. Si tratta di una “parola” che viene silenziata, una vita che sta per essere distrutta, sepolta e fatta sparire.
È una logica contraria al concetto di “gloria” dei Greci, attratti dal successo, dalla fama, dagli onori e dal raggiungimento di una posizione sociale ragguardevole. L’attaccamento alla propria vita e ai valori mondani diventano un ostacolo per “vedere/conoscere” Gesù. Per cui seguire e servire il Signore, indirizzare e portare da Gesù coloro che lo “cercano”, ma senza incarnare i lineamenti del suo volto, senza condividere le sue scelte di vita, lo stesso dono di vita, non porta a nulla.
È come se Gesù ci dicesse: se volete capire me, guardate il chicco di grano; se volete vedermi, guardate la croce. L’immagine del chicco di grano non vuole rimarcare una visione dolorifica e di sacrificio (se non muore… se muore), ma sul frutto che produce, sulla vita che continua. La gloria di Dio non è il morire, ma l’abbondanza del frutto, la vita in pienezza. Per S. Ireneo è “l’uomo vivente”.
Di fronte alla morte sentiamo paura, orrore, ripugnanza. È umano. Anche Gesù ha sperimentato l’angoscia e la difficoltà di donare se stesso accettando una morte infame. Non va alla morte con il sorriso sulle labbra: “Ora l’anima mia è turbata”. I sinottici descrivono il dramma di Gesù nell’orto del Getsemani, mentre Giovanni lo fa qui, di sfuggita. È un momento decisivo per Gesù: salvare la propria vita, tradendo la sua missione, oppure donarla fino in fondo.
Forse percepiva il rischio dell’insignificanza della sua morte, che tutto terminasse nel nulla. La paura di fallire, che nessuno lo seguisse, che non ci fosse qualcuno disposto a rischiare la propria vita per lui, che venisse dimenticato come tanti crocifissi anonimi della storia.
È tentato di chiedere al Padre che lo liberi da questa situazione critica: ciò rivela l’idea di un Dio rifugio, che permette di schivare le proprie responsabilità, la propria missione.
Trova conferma dal Padre: “Venne allora una voce dal cielo: l’ho glorificato e lo glorificherò ancora!”. Questa voce l’abbiamo sentita durante il battesimo di Gesù, rivolta al Battista. Non solo ribadisce la missione del Figlio, ma è una risposta alla richiesta dei Greci che volevano vedere Gesù: lui è il segno di salvezza non solo per Israele, ma per tutta l’umanità. Inoltre rivela il senso della morte di Gesù in croce: “Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori”. Non si tratta del diavolo, ma del nostro vivere secondo la logica del potere, dell’arrivismo, dell’egoismo, della cattiveria, del dominare gli altri che si oppone all’amore di Dio e produce realtà di morte. Riguarda anche quelle strutture di potere che schiacciano i deboli; strutture economiche che cercano i propri vantaggi e interessi senza favorire la solidarietà e la fraternità; strutture di mezzi di comunicazione che nascondono o tergiversano la verità.
Oggi se vogliamo “vedere” Gesù, occorre cercalo dove si trova: certamente sulla croce, ma anche nella sua Parola, è presente in mezzo a noi nelle celebrazioni comunitarie, negli ammalati e nei poveri: “Quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt.25,40).
Ma sono convinto che anche Gesù vuole “vedere” ciascuno di noi: vedere il riflesso del suo volto in noi, vedere che lo seguiamo quando facciamo le sue stesse scelte, quando siamo capaci di far morire il seme del nostro “io” affinché lui cresca, quando siamo capaci di donare la nostra vita per gli altri. Allora la sua morte in croce non è stata vana. Sta dando ancora frutto.
Autori consultati: Maggi, Bianchi, Montana, Squizzato, Barretos, Castillo e altri