19 gennaio 2025 – II domenica anno c
Nel profeta Isaia Dio si presenta come colui che prende l’iniziativa nel voler salvare il suo popolo. Prima ancora di essere invocato Dio stesso afferma di non potersi dare pace finché non ha liberato il suo popolo dal suo stato di abbandono e di desolazione. Questo stato di desolazione rimanda naturalmente a tutte le tragedie dell’umanità, dalle guerre a tutte le situazioni di povertà e sofferenza, ma la sua radice va ricercata nel cuore dell’uomo che, anche in assenza di difficolta esteriori, tende regolarmente a ricadere nella tristezza e nell’isolamento egoistico. Al cuore dell’uomo prima o poi viene sempre a mancare qualcosa che gli impedisce di amare e di gioire in maniera prolungata e possibilmente stabile.
La condizione dell’umanità in tal senso può bene essere rappresentata dalla coppia anonima dello sposalizio di Cana, anche perché mai la pienezza di amore e di gioia sono così bene congiunti ed espressi come in una festa di nozze. I due non hanno abbastanza vino per portare a compimento la loro festa e al contempo mai avrebbero pensato di avere una sovrabbondanza di vino che durasse ben oltre il giorno della loro festa. L’amore e la gioia esprimono la pienezza del vivere e il cuore di ogni uomo anela continuamente a questa pienezza. Ciò che accade alle nozze di Cana e che da inizio al ministero pubblico di Gesù nel vangelo di Giovanni contiene allora una promessa che il salmista esprime con un verso pieno di letizia: annunciate di giorno in giorno la sua salvezza. Annunciate che Dio salva non una volta sola e non una volta per sempre ma giorno per giorno. Perché quotidianamente si ricomincia a vivere e quindi quotidianamente la vita deve essere salvata dal rischio che l’amore e la gioia, per mille circostanze e contraddizioni diverse, venga a mancare.
Le nozze di Cana per i discepoli che credono e per coloro che sanno che il vino buono non viene dalla cantina degli sposi ma da colui a cui hanno obbedito e dato fiducia a dispetto di ogni umana aspettativa, diventa il segno del fatto che Dio vuole salvare giorno per giorno la nostra vita. Nella lettera ai corinzi Paolo ricorda che non c’è nulla che possiamo fare per il bene comune, per creare quei legami di comunione che rendono la vita bella, significativa e gioiosa, senza l’aiuto di Dio. Per mezzo dell’incarnazione diventiamo un corpo solo con Cristo, in maniera così intima e profonda che ogni dettaglio della nostra vita partecipa alla vita di Dio. Ci possono essere molti doni ma un solo Spirito. Ci possono essere mille iniziative da parte dell’uomo ma un’unica energia che ha la sua origine nel figlio di Dio. Ci possono essere mille forme e possibilità di vita ma un solo Padre che è all’origine di questa vita ed opera tutto in tutti.
Ciò che salva giorno per giorno la nostra vita, allora, è la nostra accoglienza al dono di Dio. La salvezza è questo desiderio misterioso di Dio di condividere con noi il suo amore e la sua gioia in modo tale da trasformare, come Gesù ha trasformato l’acqua in vino, la vita umana che non basta mai a se stessa in una vita gloriosa che diventa dono per gli altri. Non si tratta di una bella favola, di un miracolo o di un gioco di prestigio. Questa trasformazione esige una purificazione del modo di amare umano. L’annotazione dell’evangelista circa il fatto che le giare usate per la purificazione rituale dei partecipanti al banchetto erano vuote potrebbe suggerire che questa esigenza di purificazione era proprio ciò che gli sposi avevano trascurato o sottovalutato.
Non a caso Gesù collega quello che fa a Cana all’ora della sua passione e morte. E fa capire chiaramente che quel vino nuovo che solo lui poteva concedere e che rappresenta la pienezza dello Spirito Santo arriva alla fine di un percorso di fede e non all’inizio. Contrariamente, infatti, a tutte le aspettative umane, la gioia del Vangelo e la pienezza della salvezza rappresentano il frutto e il compimento di ripetuti atti di fiducia. Due volte la madre di Gesù ha saputo dare fiducia a suo figlio. Quando gli ha chiesto aiuto e quando ha persistito nella sua attesa di fronte ad un apparente rifiuto. Due volte anche i servi hanno dovuto persistere nella loro fiduciosa obbedienza. Quando hanno accettato di riempire pazientemente di acqua le grosse giare di pietra e quando hanno accettato di portare al capotavola per un assaggio quello che doveva ancor sembrare soltanto acqua appunto. E’ solo a partire da questa fiducia vissuta nelle circostanze più umili e quotidiane che il nostro modo di amare si purifica dal suo naturale egoismo e ci permette di annunziare, con il salmista, di giorno in giorno la salvezza del nostro Dio.