5 gennaio 2020 – II domenica di Natale
Le letture di questa domenica parlano del grande mistero dell’incarnazione come di un evento che si realizza in un punto della storia ma che ha la sua origine dall’eternità e il suo compimento nell’eternità. Il momento in cui Gesù comincia ad esistere, dunque, non e’ quello della sua nascita nel tempo. Giovanni ricorda che Gesù, ancor prima di essere nel seno di Maria era nel seno del padre e in quel seno ritorna dopo la sua resurrezione. Questo vale anche per noi perché anche noi abbiamo in un certo senso una triplice condizione di esistenza. Quella spirituale nella predestinazione del Padre, quella biologica con la nascita e quella risorta per la vita eterna. Per questo San Paolo può dire che Dio ci ha scelti in Gesù e quindi in lui ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli.
All’inizio di tutto, all’origine della nostra storia, non c’è il caso, non c’è solo la materia biologica, la decisione dei genitori, ma vi è una benedizione, un progetto bello di Dio, una Sapienza di amore. Anche il Vangelo di Giovanni insiste su questo punto. Non solo ciascuno di noi ma tutte le cose che esistono sono state create per mezzo di Gesù. Non esiste una sola cosa che non sia stata creata per mezzo di lui e senza di lui nulla viene all’esistenza. La nostra sostanza è così intimamente impastata con quella di Cristo che Giovanni può aggiungere: in lui era la vita e questa vita era la luce degli uomini che risplenda nelle tenebre. La vita di Cristo è in noi come sostanza della nostra vita e della nostra persona ed al contempo essa è fuori di noi come luce che ci illumina.
Questa luce non splende al posto delle tenebre ma al loro interno, così nascostamente e delicatamente, da dare l’impressione che possa essere sopraffatta. Eppure, le tenebre non hanno prevalso. Questo implica che nell’incarnazione c’è al contempo un grande mistero di amore ed un grande mistero di libertà. Anche se non vi è nulla che possa esistere senza di lui noi possiamo comunque decidere di fare a meno di lui, di cercare di essere felici senza di lui, perché la relazione con Cristo non è mai una necessità ma il massimo della libertà. Gesù ha piantato la sua tenda in mezzo a noi. Piu precisamente – dice il Siracide – Gesù ha fissato la sua tenda, ha affondato le sue radici, si è fatto uno come noi con una decisione irrevocabile. Eppure, i suoi non l’hanno accolto, preferendo così un modo di esistere senza luce, senza la consapevolezza della nostra benedizione originaria e del nostro destino di figli di Dio.
Poiché gli uomini hanno perso la percezione e la consapevolezza della luce di Dio, Dio ha mandato un uomo che non era la luce a rendere testimonianza alla luce. Perché per mezzo di Giovanni, un uomo come tutti, tutti fossero richiamati alla fede, alla necessità, cioè di affidarsi a qualcosa di più di ciò che è visibile agli occhi della carne. Per la fede, e non per la visione, noi possiamo riaprire gli occhi del cuore e ricominciare a vedere quel Dio che nessuno ha mai visto e che Gesù è venuto a spiegarci. Per la fede possiamo ricominciare a vedere nella storia di Gesù la nostra storia, nel suo cammino il nostro cammino, nella sua luce la nostra luce. È questa la preghiera di San Paolo: Che Dio possa aprire gli occhi del vostro cuore e voi possiate vedere tutta la profondità del mistero di Cristo. Per la fede, infatti, impariamo ad accogliere il Cristo in maniera così intima da acquisire da Lui il “potere” di diventare figli di Dio. Non si tratta di una sorta di superpotere ma piuttosto di quella franchezza, quella fermezza, quella risolutezza che ci permettono di affrontare l’oscurità, le resistenze e le contraddizioni proprie della nostra natura che non riuscirebbe mai da sola a fidarsi del Padre.
Nelle tenebre del mondo e di questa natura ferita splende la luce che ci illumina circa la dignità della nostra origine nel seno del Padre e la bellezza del nostro destino che è quello di ritornare a Lui. Non si diventa figli di Dio per natura, per la volontà della carne o per la volontà dell’uomo, ma per la fede. La fede ci dice che siamo da sempre e che siamo di più di quello che appare. La stessa fede ci dice che siamo destinati ad essere per sempre e a diventare di più di quello che appare. Per Gesù asceso alla gloria del padre anche noi acquistiamo un’eredità, una ricchezza non guadagnata da noi che è per sempre. Gli uomini, scriveva una giovane ragazza, spesso vivono la loro vita come una frenetica caccia al tesoro, per poi rendersi conto, solo alla fine, che il tesoro non c’è. Il Natale ci ricorda che il tesoro ci è caduto addosso. In Gesù era la pienezza della vita e la sua vita ora illumina ogni uomo. Da Lui riceviamo grazia su grazia e finalmente la possibilità di vedere Dio, cioè di amarlo come Lui ci ama.