La lettera agli ebrei fa un’affermazione centrale per la nostra fede. Tutti quegli sforzi umani più o meno inconcludenti che noi potevamo fare per togliere il peccato dal nostro cuore e dalla storia del mondo – sacrifici, offerte rituali – Gesù li ha portati a compimento con l’offerta della sua vita. Gesù, continua la lettera agli ebrei, è l’unico uomo che offrendo sé stesso si è seduto alla destra di Dio, cioè, ha acquisito per la sua e per la nostra umanità la possibilità di fare quello che solo Dio può fare: vincere il peccato e il male. Questo però non come con un colpo di spugna oppure un miracolo facile, ma attraverso un processo storico. Gesù non fa le cose al posto nostro ma a partire dal nostro posto. E a partire dal nostro posto arriva ad occupare un posto alla destra di Dio. Si fa uomo e come uomo ci mostra dove possiamo arrivare per la fiducia in lui.

E’ vero, conclude la lettera agli Ebrei, che Gesù aspetta ancora che vengano sottomessi i suoi nemici, che divenga, cioè, evidente e sperimentabile da tutti la salvezza che egli ci ha ottenuto, eppure egli è fin da ora in grado di perfezionare, cioè di condurre ad una graduale maturazione quelli che vengono santificati. Noi non camminiamo verso una qualsiasi realizzazione temporale, per quanto grande possa essere, e nemmeno verso la vecchiaia e la morte. Noi camminiamo verso la santità, la somiglianza con Dio, la vita eterna, la pienezza del nostro destino. Daniele usa un’immagine vertiginosa per descrivere questo destino che riguarda anche la più umile creatura che si affida a Cristo. Coloro che hanno il suo spirito, egli dice, risplenderanno come il firmamento. E se tra questi vi fosse qualcuno che si è distinto nell’evangelizzare altri, cioè nel condurre altri alla giustizia, allora questi risplenderà di una luce propria ancora più riconoscibile come quella delle singole stelle del cielo.

Quando pensiamo alle stelle, noi pensiamo agli Oscar del cinema oppure ai Nobel della scienza. Dobbiamo imparare che tutti siamo delle “stelle” agli occhi di Dio. Alla fine, però, brilla veramente soltanto chi avrà maggiormente accolto quella gloria che ora appartiene a Cristo seduto alla destra del Padre. Ciò che dà valore alla nostra vita, dunque, non sono le circostanze presenti ma quello che saremo in relazione a Cristo, alla santità che egli ci ha guadagnato. Il compimento della nostra vita non è la morte, ma un giorno ed un’ora decisi dal Padre. Questo istante non è conosciuto da nessuno, nemmeno dal Cristo, ma solo dal padre. Non perché il Padre lo tenga nascosto ma perché il padre non lo decide a priori ma in relazione alla nostra risposta. Possiamo accelerare o rallentare questo compimento con una fede più profonda oppure più esitante. Ed è proprio su questa fede che Gesù ci interpella nel Vangelo.

Egli dice che, se partiamo da uno sguardo superficiale circa i processi storici in atto nella nostra realtà e nel mondo dobbiamo concludere che tutto procede verso una inevitabile consumazione. Non esiste il progresso continuo e lineare. Ogni generazione può ottenere qualcosa ma non sarà per sempre. Realizzazioni anche belle, inevitabilmente verranno turbate da tutto ciò che viene percepito come tribolazione. Ogni generazione, anche quando tutto sembra tranquillo, prima o poi vedrà un qualche segno di decadimento delle culture, di distruzione delle civiltà, di raffreddamento dell’amore. Eppure, non è solo quello che appare all’esterno che descrive il destino del mondo. Chi crede, dice Gesù, deve imparare dal fico che germoglia. Deve saper riconoscere in ogni processo storico apparentemente deludente anche una promessa ed un fermento di vita.

La luna e il sole si spegneranno, passeranno i cieli e la terra ma non passeranno le mie parole, dice Gesù. La realtà anche quando appare povera e deludente è sempre promettente per chi crede nel destino che Gesù ha guadagnato per noi quando si è assiso alla destra del padre. Bisogna credere che il disegno di Dio non conosce la parola fine. Dio ricomincia sempre dalla polvere. È proprio dalla polvere, ricorda, Daniele, che molti si rialzeranno. La polvere della morte oppure la polvere di un fallimento. Quello che conta è credere che ogni circostanza non è semplicemente comoda oppure sofferta, lunga oppure breve, successo oppure fallimento. Essa è la mia occasione di orientarmi alla santità, il mio cammino e il mio combattimento per la santità. Se credo che le circostanze non sono mai per caso o per sbaglio ma sono per una visita del Figlio di Dio che e’ alle porte. Se apro, se do fiducia, tutto diventa occasione perché si riveli in me la gloria del figlio di Dio.